Teresa Saeli Romano Carratelli è da oltre dieci anni il Deus ex machina della delegazione Fai di Vibo Valentia. Un incarico che nasce dalla passione e dalla vicinanza ai temi cari al Fondo italiano per l’ambiente, mostrati sin da prima che si presentasse l’occasione per aprire una sezione in città. Ovvio che al primo palesarsi di simile prospettiva, sia stata lei a muoversi per attivare, organizzare e promuovere la Fondazione anche nel Vibonese. Un compito di direzione ed indirizzo che l’attivista persegue, di anno in anno, facendo da tramite tra le linee strategiche dettate dalla dirigenza nazionale e le mille urgenze di cui necessita il patrimonio archeologico, architettonico ed ambientale della provincia vibonese.


Va detto, per inciso, che poche direzioni, in Italia, devono destreggiarsi contemporaneamente tra opportunità ed emergenze pari a quelle “offerte e sofferte” da Vibo. I tesori negletti, le meraviglie nascoste, le criticità ed i rischi che viaggiano affiancati lungo tutto il perimetro della bellezza di casa nostra, costituiscono per la Saeli Romano Carratelli un percorso tanto affascinante, quanto ricco di ostacoli.

Come affronta la sfida costituita dalla bellezza e dalla fragilità del territorio vibonese? Quali sono le sue priorità?

«Il richiamo forte del Fai ci permette di individuare e valorizzare altrimenti nascosti, irraggiungibili. Poter aprire questi luoghi, rappresenta un’occasione imperdibile di tutela e valorizzazione. Le contraddizioni di cui soffre il nostro patrimonio storico-artistico sono emblematiche delle difficoltà che dobbiamo affrontare. In quest’ottica, l’archeologia è la priorità più urgente, ed in tal senso abbiamo lavorato, dedicandogli le passate Giornate Fai di Primavera. A mio avviso, l’apertura dei mosaici di Sant’Aloe ha rappresentato un grande conquista, il giusto riconoscimento per il nostro impegno. Ci ha permesso di dar vita ad azioni che hanno dato risalto alla zona del parco archeologico delle Terme e delle domus, dove si trova il mosaico della Nereide. Aree ancora tutte da indagare, ma che hanno già restituito mosaici di grande valore. Penso al cielo stellato, fondo blu con punte bianche, o alla rappresentazione delle quattro stagioni. Sono stati interventi ai quali abbiamo dato priorità, sin dai primi anni di presenza Fai nel Vibonese. Sul versante architettonico, grande importanza ha avuto anche la riapertura del collegio dei Gesuiti, forse la più bella architettura della città: è un gioiello che tra l’altro ha ospitato, 400 anni fa, la prima scuola “moderna” della Calabria. Il suo restauro, ancora non ultimato, sta privando la Comunità di uno dei luoghi più suggestivi e fascinosi di cui dispone il centro di Vibo. Voglio ricordare anche l’apertura dell’aeroporto militare intitolato a Luigi Razza, luogo nevralgico durante la seconda guerra mondiale, ed oggi sede del XIV Battaglione Carabinieri “Calabria”, degli elicotteristi e dell’unità cinofila. Una festa per l’arma e per la città, che ha visto la partecipazione di centinaia di cittadini».

Quante persone si sono avvicinate alla Fondazione, in questi anni?

«Oggi possiamo contare su un centinaio di affiliati. E soprattutto, abbiamo dato vita ad intense stagioni di collaborazione con istituzioni, scuole e comunità civile. I grandi eventi Fai, le campagne che ogni anno rilanciamo puntualmente sul territorio, sono possibili anche e soprattutto per la collaborazione della città: ad iniziare da quella degli studenti delle scuole superiori. Mi riferisco in particolar modo alle Giornate di Primavera, che si svolgono con il supporto dei ragazzi aderenti al progetto “Apprendisti Ciceroni”. Giovani che per quei giorni fanno da guida ai visitatori, da “Cicerone”, appunto, approfondendo prima, ed illustrando poi, le bellezze nascoste della loro città».

E con le amministrazioni che si sono susseguite? Com’è stato il rapporto?

«Ovunque ci siamo recati per attivare le nostre iniziative (il Comune di Vibo, i Comuni della provincia, la stessa amministrazione provinciale), abbiamo trovato sempre la massima collaborazione. Le nostre giornate, all’atto pratico, prevedono sempre l’apertura di un cantiere, sia esso un palazzo, o un’area archeologica. Gli aspetti burocratici che devono essere risolti, sono tantissimi. Se non ci fosse la massima collaborazione, l’evento non si potrebbe verificare. D’altro canto, va anche detto che difficilmente qualcuno vuole rifiutare progetti così belli. Di solito, gli amministratori sono sempre ben felici di cogliere l’opportunità, ed ospitare un evento Fai nei territori di loro competenza».

Com’è organizzato il calendario Fai? Quali eventi si susseguono, nel corso dell’anno?

«Le nostre iniziative hanno carattere stagionale. Sono campagne che ogni comitato provinciale ha il compito di fare proprie, di rilanciare. Penso alle Giornate Fai di Primavera, che durano per un intero week end, e sono forse l’evento più atteso e più conosciuto, a livello nazionale, tra quelli promossi dalla Fondazione. Una notorietà dovuta anche al grande investimento fatto in termini di comunicazione, che coinvolge tutti i media nazionali. Importanti anche le Giornate Fai d’Autunno, gestite dalle delegazioni giovanili, e le Giornate d’Inverno, riservate alle scuole: visite organizzate ad esclusivo beneficio di studenti, docenti e famiglie. Tutti eventi finalizzati alla valorizzazione, alla riapertura, alla riscoperta di luoghi importanti, ma spesso inaccessibili, presenti nel territorio».

Quali sono le priorità per il 2019? Quali luoghi saranno teatro di eventi Fai?

«Stiamo lavorando con grande impegno sul programma delle Giornate di Primavera 2019, che presenteremo presto alla stampa. Posso solo dire che quest’anno ci sarà una sorpresa straordinaria, e che le giornate, come ormai tradizione, verranno chiuse con il concerto organizzato insieme al conservatorio musicale “Fausto Torrefranca” di Vibo Valentia. In generale, i criteri seguiti sono quelli cari al Fai. Ovvero, la valorizzazione delle eccellenze non solo artistiche, ma anche ambientali e culturali. In occasione di particolari eventi, apriamo anche ad appuntamenti enogastronomici, ricordando che il cibo è espressione della cultura della comunità. Penso a quanto già organizzato in occasione dell’Anno mondiale del cibo, che ci ha visto promuovere al Valentianum un percorso espositivo dedicato ai prodotti di qualità della nostra terra, insieme a Confindustria e Slow Food».

La sua delegazione ha competenza su tutta la provincia. Quali sono i luoghi già promossi, e quali patrimoni fuori le mura intende portare all’attenzione degli appassionati?

«Abbiamo già organizzato eventi che hanno interessato tesori quali la Giudecca di Nicotera, i portali dei palazzi nobiliari di Tropea, la Chiesa dei Morti a Pizzo Calabro, il Convento di Soriano, le Grotte di Zungri. Certo è che molto deve essere ancora fatto, nel breve, medio e lungo termine. Luoghi come Serra San Bruno e la sua Certosa, Mongiana e le Ferriere borboniche, Monterosso Calabro, Mileto, hanno un valore inestimabile. Luoghi troppo penalizzati dai flussi turistici per il loro essere periferico, ma che devono tornare ad essere centrali, nella programmazione dell’offerta culturale. E al di là delle difficoltà per raggiungerli, dobbiamo fare di tutto per narrarne le atmosfere, il valore, le bellezze in modo adeguato. Il nostro futuro parte da lì».