Qui vennero imbarcati anche i tronchi "ordinati" da Gregorio Magno per la prima chiesa di Roma. La storia d'Italia è passata dall'approdo vibonese, ma nessuno sembra saperlo. Ce lo ricorda l'archeologa Silvana Iannelli
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Possono le poche centinaia di abitanti di un trascurato ma un tempo idilliaco tratto di costa far finta che nella propria frazione, in piena zona industriale, "non esistano" i resti di un porto greco-romano dove hanno combattuto Cesare, Crasso e Ottaviano? Dove sono stati imbarcati e spediti i legni serviti per costruire San Pietro? Dove 2500 anni fa approdavano navi che commerciavano i prodotti del vibonese in tutto il Mediterraneo conosciuto? Dove sui resti d'un tempio greco dedicato a Proserpina sorge un castello medioevale talmente coperto da rovi da non esser più neanche visibile? E dove più avanti troviamo una tonnara abbandonata? Sì. Si può. E no, non è per colpa di una maledizione. Le streghe cattive non c'entrano. C'entrano miopia amministrativa, pigrizia individuale, mancanza di civismo: un cocktail micidiale.
Un destino amarissimo
Il destino del porto greco-romano di Vibo Valentia, tra Bivona e la foce della fiumara Trainiti, è amarissimo: teatro di commerci e battaglie per oltre mille anni, è oggi totalmente rimosso dalla memoria collettiva di abitanti, amministratori, scuole, università, ricerca. A dispetto del ruolo che giocò nella storia antica, tra erbacce e rifiuti, tutto tace. Eccezion fatta per qualche campagna di indagini troppo povera per essere risolutiva: per poche, eroiche iniziative individuali; per rarissime e sin troppo deboli e sporadiche attenzioni, che poco o nulla hanno smosso nell'economia degli sparuti dipartimenti di archeologia delle università nostrane. (Foto: Castello di Bivona)
Il silenzio imbarazzante delle università calabresi
Ma tant'è. Lo scherzo giocato dalla Nemesi ai danni del sito è feroce. Le scoperte più emozionanti non hanno mai intaccato la sovrana indifferenza toccatagli in sorte. Neanche sapere che la prima basilica di San Pietro venne costruita con i legni calabresi imbarcati proprio da qui, ha fatto il miracolo della consapevolezza. E pure, a raccontarlo, era stato Gregorio Magno, il grande papa Gregorio I°, padre della Chiesa e santo, salito al soglio pontificio nel 590 d.C, che indicava proprio in Bivona il porto strategico per l'edificazione della prima Basilica di Roma.
Da Bivona a San Pietro
La costruzione di San Pietro, voluta da Costantino I nella necropoli accanto al circo di Nerone, dove la leggenda dice fosse sepolto l'apostolo deposto dalla croce, era stata iniziata nel IV secolo d.C, ed aveva cinque navate a copertura lignea, rette per oltre mille anni proprio dai poderosi tronchi che Gregorio indica come calabresi. Legni imbarcati a Bivona, e che sarebbero rimasti al loro posto sino alla costruzione della nuova ed attuale basilica, iniziata nel XVI secolo.
L'importanza del porto
Oggi Bivona è un non luogo, cancellato persino dalla geografia fisica. L'intera area, nel cuore della zona industriale di Vibo Marina, è coperta di rovi e sterpaglie, alte al punto da nascondere alla vista persino i due piani del relativamente ben conservato castello medioevale adiacente, lasciato solo a sfidare vegetazione e rifiuti. Ma come appariva questo approdo, sino a qualche secolo fa? Ce ne parla Silvana Iannelli, già archeologa della Soprintendenza archeologica della Calabria e direttrice del Museo e del Parco di Vibo Valentia e dei musei di Rosarno e Monasterace.
Attivo per mille anni
«Fu proprio la presenza del porto, baia naturale strategica per posizione e geomorfologia, a spingere i Greci ad eleggere Hipponion come colonia locrese, ed i Romani, successivamente, a dedurne il municipium. Esso costituiva una via fondamentale nel traffico marittimo della costa tirrenica, via obbligata verso lo Stretto: era l’unico approdo strutturato dopo la città di Napoli e prima di quello di Reggio Calabria. Ecco perché alla sua presenza si deve l'importanza della città in età greca e romana. Sia della polis (Hipponion) che del municipium (Valentia, chiamata in seguito anche col nome italicizzato di Vibona)». (Foto: Silvana Iannelli)
La ricchezza di Vibo...
«Fu sempre il porto a determinare le fortune delle produzioni alimentari e manifatturiere del monte Poro – prosegue la studiosa -. Da questo snodo centrale, partivano navi cariche di merci, dirette verso ogni città affacciata sul Mediterraneo. L'infrastruttura giocò un ruolo determinante nella storia politica, economica e sociale dell'intera regione, e rimase centrale per secoli: tanto da divenire il tramite della ricchezza anche per la MonsLeonis medioevale».
...e le sorti di Roma
E ancora: «Il rinvenimento di una villa legata alle attività portuali e altre fonti più tarde, ne attestano la vitalità millenaria. Gregorio Magno testimonia come da qui partissero le navi cariche del legname destinato alla costruzione delle basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma. Era stato lui stesso, a tal fine, a rivolgersi per l'occasione ad Arechi, duca di Benevento, e Venerio, vescovo di Bivona».
La ricerca subacquea
«Grazie alla ricerca subacquea degli anni '80 e agli studi comparati di geoarcheologia effettuati da un’équipe di archeologi della Soprintendenza e geomorfologi dell’Università della Calabria, siamo stati in grado di individuare esattamente l’ubicazione del porto di Hipponion e del municipium di Vibo Valentia nel tratto di costa compreso tra Bivona e la foce della fiumara Trainiti, dove due antemurali romani testimoniano la presenza di un porto strutturato. Se Strabone scrive che il porto, già nel III secolo avanti Cristo, era stato interessato da opere di ristrutturazione per conto di Agatocle, sappiamo da Cesare e da Appiano che lo stesso fu determinante per l'esito delle guerre civili del 49 a.C., e teatro dello scontro tra Cassio contro Cesare e Ottaviano: Cassio, capo della flotta pompeiana aveva incendiato le navi di Cesare che sostavano nel porto di Messina, e poi, proseguendo verso Vibo, aveva dato fuoco alle altre navi che lì sostavano. Nello scontro che seguì tra Ottaviano e Pompeo nelle acque dello Stretto di Messina, le città di Vibo, insieme a Messina e a Reggio, offrirono il loro porto ad Ottaviano che vi insediò il suo quartier generale.
Il legame tra la città e Ottaviano
«Oggi, a riprova del legame tra Ottaviano e la città di Vibo, alle fonti storiche siamo in grado di aggiungere anche la testimonianza archeologica rinvenuta in località Sant’Aloe, che ha restituito un ritratto di M. Vipsanio Agrippa (64/63 a. C. ?-12 a.C.). L'uomo, fedelissimo collaboratore di Ottaviano, suo amico e suo genero, è raffigurato in un pregevole ritratto di età augustea, donato al Museo Archeologico dal dott. Raniero Pacetti, ed ivi esposto. In marmo pregiato di probabile origine numidica, cosiddetto “giallo antico”, l’opera è stata più volte segnalata nei repertori specialistici e nelle biografie di Agrippa».
Un'eredità preziosa
Cosa rimane di questa eredità storica? Certamente, tanto lavoro da fare. E la certezza che un porto tra i più importanti della costa tirrenica, attivo per secoli vada recuperato e reinserito nella nostra consapevolezza di cittadini e calabresi. Altrimenti, l'indifferenza sovrana che lo ha di fatto cancellato dalla memoria collettiva continuerà ad apparire davvero il frutto di una stregoneria da favolaccia di periferia.