Si tratta di cunicoli usati per il trasporto dell’acqua. Coinvolti nello studio voluto dal Club alpino e realizzato grazie ad una equipe formata da archeologi e speleologi, i centri di Zungri e Anoia
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Rappresentano una pregevole opera di ingegneria idraulica. I “qanat” - antichi cunicoli usati per il trasporto dell’acqua utilizzati sia per l’approvvigionamento delle risorse idriche che per l’irrigazione - al centro di uno studio in Calabria grazie alle preziose testimonianze di Zungri e Anoia.
I due centri, collocati rispettivamente nel Vibonese e nel Reggino, sono tra i protagonisti del progetto “Qanat calabresi. Risorsa per il futuro e modello educativo per giovani aquilotti”. Si tratta di una iniziativa avviata attraverso le risorse messe in campo dal Club alpino italiano, sviluppata grazie al certosino lavoro dell’equipe coordinata da Marco Brunetti e composta dall’archeologo Francesco Cuteri, dall’ingegnere speleologo Luigi Manna, dal vice presidente regionale del Cnsas geologo Pierpaolo Pasqua e dai volontari delle strutture periferiche del Cai. Un primo step delle attività è stato illustrato nei giorni scorsi presso la sala congressi “G. Cosentino” della Banca di credito cooperativo di Cittanova. L’attività ha coinvolto gli studenti del liceo classico e artistico di Cittanova. Non solo. I Comuni di Anoia e Zungri, in qualità di gestori dei beni archeologici indagati, sono stati co- finanziatori del progetto, insieme al dipartimento di Reggio Calabria dell’Arpa, responsabile delle analisi delle acque.
I qanat calabresi e la gestione delle acque
Tramite lo studio si punta ad avviare un censimento ed un’analisi archeologico-tecnica e laboratoriale dei sistemi di captazione acque, assimilabili al modello “Qanat” e presenti nell’areale aspromontano e delle Serre calabre. Si cercherà dunque di ridare dignità a queste opere reinserendole nel piano eco-sostenibile di rivitalizzazione dei comprensori locali. Ma qual è il loro peso nella storia? Questi sistemi di captazione sono il risultato di studi e approfondimenti condotti in Medioriente. Costituiscono fino dall’epoca protostorica uno dei metodi più efficaci per distribuire “l’oro blu” in zone semidesertiche. Il sistema è ingegnoso: l’acqua è convogliata tramite gallerie ipogee orizzontali con poca pendenza che, intercettando le micro-falde esistenti nel sottosuolo e raccogliendo le acque meteoriche, dirigono il prezioso liquido inizialmente in una o più vasche di decantazione e infine in un ’abbeveratoio oppure in una fontana.
Il progetto sui qanat calabresi
L’iniziativa progettuale è ambiziosa. Si mira non solo a ripristinare l’accessibilità a queste particolari opere e rendere fruibili le aree in cui sorgono, ma anche a rilevare e segnalare topograficamente tutte le gallerie ipogee, analizzare le acque lì presenti, ottenere approfondimenti archeologici. Con ulteriori risorse, inoltre, si vorrebbe creare un cortometraggio e redigere una pubblicazione scientifico-divulgativa.
Il caso di Zungri
Zungri è tra i centri attenzionati. Maria Caterina Pietropaolo, direttore del Museo della civiltà contadina e rupestre ci spiega: «Il qanat fa parte dell’insediamento rupestre ma non è visitabile. È parte integrante delle 2 fontane più vecchie del paese, portava l’acqua (ora si disperde) nella fontana piccola, limitrofa alla grande. Consentiva agli abitanti l’approvvigionamento idrico in un’epoca in cui l’acqua corrente nelle case non esisteva». Ci sono particolari degni di nota: «Nella più piccola, vi erano due fontanelle, una usata dagli uomini, e una seconda, più grande, riservata agli animali. Il canale, lungo circa 30 metri, portava l’acqua sotto la fontana grande, sita sotto l’odierno Museo, e fino agli anni Novanta, il sito era usato per lavare vestiti e anche la lana grazie alla presenza di più vasche».
Verso nuovi studi
Il qanat, ad un certo punto, si biforca: «Da un lato serviva le due fontane (la piccola e la grande), dall’altro andava verso le grotte. Ad un certo punto però, si perde, forse a causa di un crollo. Secondo gli esperti il canale dovrebbe giungere fino alle grotte». Un passato, dunque, che tona alla luce: «Vediamo se con ulteriori risorse si procederà con i lavori. Si tratta di canali medievali se non ancora più antichi. Il qanat fa parte dell’Insediamento rupestre non è a se stante. Grazie al progetto, il Comune ha riportato alla luce la fontana piccola, completamente avvolta da sterpaglie e rovi. Le persone più anziane del paese hanno ancora vividi ricordi sulla sua esistenza, sull’uso che se ne faceva. Il percorso che si sta intraprendendo – conclude Pietropaolo- sta davvero riscrivendo la storia locale».