Autore di romanzi e novelle tra la fine dell‘800 e gli inizi del ‘900. Condusse grandi battaglie per il riscatto del Mezzogiorno
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Scrisse Benedetto Croce: «Le Calabrie ebbero il loro pittore in Nicola Misasi, che continuò nei suoi racconti e nei suoi quadri di costume il romanticismo calabrese». È uno dei più grandi e prolifici scrittori calabresi, autore di romanzi e novelle tra la fine dell‘800 e inizi del ‘900. Purtroppo oggi quasi sconosciuto, soprattutto alle nuove generazioni. Ma è pressoché dimenticato dai più. Nicola Misasi, autore classico della letteratura calabrese, era un autodidatta. Ma questo non gli impedì di diventare un autore importante, apprezzato e conosciuto anche all’estero. Era profondamente innamorato della Calabria, adorava la Sila, tanto da celebrare la sua ineguagliabile bellezza per tutta la sua vita.
Dunque i 100 anni dalla morte di Nicola Misasi, nato a Cosenza da una famiglia della piccola borghesia, il 4 maggio 1850, morto a Roma il 23 novembre del 1923. Non amava la scuola, tanto da essere espulso dal liceo. Ma non rimase assolutamente lontano dagli studi, infatti si formò leggendo romanzi dell’epoca, soprattutto quelli francesi, i romanzi romantici, le opere degli scrittori calabresi. Misasi pubblica a soli 20 anni un racconto. E poi due raccolte di poesie. Nell’ultimo ventennio dell’ ‘800 si trasferisce a Napoli, scrive per il Corriere del Mattino. Il suo impegno di quegli anni è tutto a favore delle grandi battaglie per il riscatto del Mezzogiorno. E in questo quadro difese la Calabria che all’epoca veniva fortemente attaccata da esponenti politici del Nord.
Scrisse Benedetto Croce: «Le Calabrie ebbero il loro pittore in Nicola Misasi, che continuò nei suoi racconti e nei suoi quadri di costume il romanticismo calabrese. Lo continuò anche in certa […] simpatia ammiratrice per le violente passioni d’amore, di gelosia e di vendetta, che erano di quella gente, e per il brigantaggio. Così ispirato il Misasi narrava bene, con quella particolarità ed evidenza che nasce dall’adesione alle cose narrate».
Durante il soggiorno partenopeo, Misasi conosce personaggi di spicco dell’epoca, quali Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio e Salvatore di Giacomo. Nel 1882 si traferisce a Roma e collabora al “Fanfulla della domenica” e a “Cronaca bizantina”. A Roma conosce alcuni fra i più importanti nomi della letteratura del tempo: Carducci, D’Annunzio, Verga, Edmondo De Amicis. Durante il periodo romano pubblica le sue opere più note: Racconti calabresi, Magna Sila, Marito e sacerdote. Nel 1884 ritorna in Calabria, dove per la sua fama”, e in ossequio ad una legge vigente, viene nominato docente di lettere al liceo di Monteleone, la città natale della moglie, che muore nel 1886. Dopo qualche anno ottiene il trasferimento al liceo Bernardino Telesio di Cosenza.
Le opere di Nicola Misasi
Tra il 1889 e il 1911 pubblica numerose opere. La sua fama varca i confini nazionali. Le opere di questo periodo: “Il gran bosco d’Italia”, “La mente e il cuore di San Francesco di Paola”, “L’Assedio di Amantea” (2 volumi), “Cronache del brigantaggio”, “Sacrifizio d’amore”, “In Provincia”, “Carmela”, “La Badia di Montenero”, “L’anima nuova”, “Il romanzo della rivoluzione”, “Il Tenente Giorgio”, “Anime naufraghe”, “Briganteide”, (2 volumi) e altri ancora. Lo scrittore calabrese ottiene sempre più successi e apprezzamenti. Collabora con importanti giornali sudamericani: “Fanfulla” di San Paolo del Brasile, “La Patria degli Italiani” di Buenos Aires e il “Progresso italo-americano” di New York. Nonostante la sua residenza a Cosenza, si sposta spesso in altre città italiane quale conferenziere, ma si reca anche all’estero (Svizzera, Tunisia).
A Cosenza è sempre più apprezzato: frequenta con interesse l’Accademia Cosentina, e per alcuni periodi sostituisce anche il presidente Luigi Accattatis. Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si traferisce nella vicina San Fili, per poi raggiungere nuovamente Roma, dove muore il 23 novembre 1923. Misasi è considerato dalla critica letteraria un tardo verista. Nelle sue opere la Calabria è sempre protagonista. In particolar modo la sua adorata Sila.
Nicola Misasi: “ Il gran bosco d’Italia” (1900) «Si volga uno sguardo alla carta d’Italia, e là dove la Calabria si allarga fra gli opposti golfi di Taranto e di Policastro, di Squillace e di S.Eufemia, ivi la catena degli Appennini, innalzandosi gradatamente dai due opposti versanti e aggruppandosi in nodi, forma come una gobba, sulla quale i boschi si alternano con le praterie, gli altipiani con le colline dal dolce declivio, le valli profonde con i monti altissimi; le gole anguste con le pianure sconfinate, il terreno acquitrinoso con le rocce granitiche. Dai fianchi di quei monti, che han caverne e burroni, sgorgano per l’uno e per l’altro versante torrenti e ruscelli innumeri che perdono dopo breve corso il loro nome e si riuniscono per formare il Tacina, il Neto, il Savuto, il Moccone, il Crati cantato da Virgilio e celebre nella storia per avere servito alla vendetta dei Crotoniati che ne deviarono le acque per inondar Sibari, e che vide un tempo le greche navi fender le sue onde, se non mentisce Strabone che lo disse navigabile. Ed è questa la Sila»