L'iter, le visite dal veterinario, le autocertificazioni e poi le chat della staffetta e l'arrivo al Nord. Ecco la nostra tragicomica esperienza
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È bastato un cenno del capo. Un sì distratto, davanti al fuoco del camino. "L'ennesima richiesta di adozione... che sarà mai. Magari hanno già risolto". Sosteneva sicuro il consorte, maledicendo il giorno in cui aveva dato il suo via libera all'arrivo di un secondo quadrupede in casa. E invece, una settimana dopo, tra piroette, autocertificazioni, salti in lungo, controlli pre-affido, un altro cane ha fatto ingresso nelle nostre vite. Un piccolo miracolo reso possibile grazie al lavoro dei volontari che, specie al Sud, fanno l'impossibile per togliere dalla strada randagi, animali vittime di abbandoni o maltrattamenti. A costo di rimetterci tempo, soldi e salute.
Antefatto
Tutto parte dalle mie manie di controllo. Vedo un cane, un gatto o un elefante, un unicorno per strada, abbandonato o ferito? Perdo le staffe. Girarmi dall'altra parte, non se ne parla. Devo sempre fare qualcosa. O se non sono nelle condizioni, cerco di coinvolgere chi ha i mezzi per intervenire. A volte finisce bene, in altre circostanze mi ricoprono di insulti.
Ebbene, per Artù (il nome che abbiamo dato al nuovo arrivato), meticcio proveniente dalla provincia di Reggio Calabria, è stata la stessa cosa. Dopo aver visto il video sui social metto “play” al repertorio: lagnanza col marito, elenco benefit, discorso col cane anziano di casa e poi l’evergreen: "Eddai lo prendiamo? Per favore, per favorissimo?". Procedo e inoltro richiesta.
L'iter adozione
A differenza delle altre occasioni, arrivo tra i primi richiedenti. I volontari s'attivano, rispondiamo diligentemente al questionario e dopo poco tempo ci confrontiamo (in pieno rispetto delle norme anti-Coronavirus, sia mai pensiate abbia organizzato festicciole in privata abitazione) con una responsabile di zona. Accade tutto velocemente. E dopo scartoffie varie, visite dal veterinario, congiunzioni astrali, microchip, fai una giravolta, falla un'altra volta, prenotazioni di staffetta, zona rossa, arancio e blu, il cane è ufficialmente nostro.
Per il consorte..."First reaction? Choc".
La partenza
Quando il quadrupede lascia il rifugio a bordo del mezzo dedicato alla staffetta, vengo inserita in una chat appositamente creata. I responsabili – pazienti come monaci buddisti – invitano a non intasare con messaggi, a rileggere le indicazioni e seguire l’evoluzione del viaggio anche di notte. Ci potrebbero essere variazioni negli orari previsti per l’arrivo. Le loro parole, com’è ovvio, vengono travolte in pochi secondi da una valanga di “Eccoci”, “Ci siamo”, “Siamo emozionati”, cuori, cani, faccine sorridenti e preghiere propiziatorie. Come segno inviato dal Cielo, tolgono la possibilità di commentare. Dio esiste.
La notte a seguire la chat
Tappa dopo tappa, nell’attraversare l’Italia con il carico prezioso di cuccioli adottati, gli staffettisti riportano gli spostamenti. A notte fonda arriva il primo posto di blocco. I militari devono controllare tutta la documentazione. Si annunciano ritardi. Schizzo dal letto, sveglio il consorte con un amorevole “Oh, sicuramente tardano perché li hanno fermati per i controlli e sono ancora a…”. La risposta arriva secca e non ammette repliche: “Sì, mò va curcati (vai a dormire)”. Con gli occhi sbarrati e animo affranto, mi quieto. I minuti passano lentamente. Poi, finalmente, suona la prima sveglia programmata sul telefono, suona contemporaneamente anche la seconda sull’altro cellulare. E suona la sveglia dell’orologio sul comodino. Sono ufficialmente le 6.00. Ricevo un po’ di insulti per il concerto mattutino.
Continuiamo a seguire gli aggiornamenti in chat, da un bagno all’altro volano “Moviti” e “Su prontu”. Il nostro cane inclina la testa, ci guarda con aria interrogativa. Ma è troppo presto per farsi domande e anche per alzarsi. In più fuori la temperatura è sottozero. “Andate, andate. Mò arrivo”.
In viaggio con le autocertificazioni
In poco tempo siamo in auto e partiamo da Mantova con la documentazione veterinaria e autocertificazioni in mano. Sfidiamo zone colorate e freddo polare. Ma arrivati al punto per la consegna, manco anima viva. Anzi no. Nel parcheggio all’uscita dell’autostrada, davanti ad un fast food, c’è un fagiano che passeggia e pensa ai fatti suoi. Vorrei portarlo con noi, ma per il consorte è “No”. Di quelli categorici. Di quelli senza possibilità di appello. In giardino però ci poteva stare. Sospiro.
L’arrivo della staffetta
L’attesa è più lunga del previsto. Anche il fagiano ha lasciato il parcheggio. Il tempo pare non passare mai mentre dalla chat riaffiorano nuovi ritardi. Fa così freddo che stare in auto non basta. Quindi mettiamo in moto e iniziamo a fare qualche giro tra i posti vuoti riservati alle macchine. Dopo due ore in freezer, allo stremo delle umane forze, un furgoncino avanza verso di noi. Tutto si conclude bene. Preleviamo Artù e rientriamo.
Scontro tra titani
L’incontro con il nostro cane di casa, Laika - 5 chili, 12 anni d’età, vibonese doc- è da guida per cinofili. Scontro tra titani? Più nani, a dire il vero. Una scodinzolata -ma non troppo cordiale - e una abbaiata decisa. Carota e bastone, carota e bastone. Passiamo da un “Ma tu, a cu apparteni? (modo per chiedere “chi è la tua famiglia?”)” a “Tu non sai cu su io (tu non sai chi sono)”. Attraversiamo il parco per calmare gli animi. Sull’uscio di casa siamo più distesi, quadrupedi compresi.
Prima di entrare, Laika si para davanti, ringhia all’indirizzo del nuovo arrivato e ci rimprovera: “Vabbè, finora abbiamo giocato e scherzato ma u cani intra, no. Dassatilu fora (il cane in casa non lo voglio, lascialo fuori), tanto s’abitua”.
Sarà un’avventura fantastica.
*Tratto da fatti, ahimè, realmente accaduti. Questa è stata la nostra tragicomica esperienza e chissà magari potrà strapparvi qualche sorriso. Adottate un cane, un gatto, un animale sfortunato, vi cambierà giornate e vita.