La città dei bruzi, in competizione con altri comuni, la spunta e nei giorni del 27, 28 e 29 settembre accoglierà la sfilata delle penne nere
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Per la prima volta nella storia la Calabria ospiterà il Raduno degli Alpini del IV Raggruppamento, e comprendente Centro – Sud ed Isole. Sarà la città di Cosenza ad ospitare l’importante evento nei giorni del 27, 28 e 29 settembre 2019. La città dei bruzi si è messa in competizione con altre città ugualmente titolate ma alla fine l’ha spuntata per l’organizzazione del raduno di questo 2019, avendo superato concorrenti davvero agguerrite, quale quella della città di Assisi, che sarà l’organizzatrice per il prossimo 2020.
Gli alpini indossano il “cappello alla calabrese”
Una curiosità, di cui verosimilmente non tutti sono a conoscenza, è che la bombetta degli Alpini, sin dal 1872, è chiamata pure Cappello alla Calabrese. Durante il Risorgimento, oltre al tributo di sangue versato alla patria dagli innumerevoli martiri, la Calabria donò all’Unità d’Italia anche un cappello. Un copricapo che divenne il simbolo della sollevazione del popolo italiano contro le tirannie straniere.
Il “cappello alla calabrese” adottato dai rivoluzionari durante i moti di Cosenza del 1844, repressi nel sangue, Giuseppe Fausto Macrì, nel suo “Il tempo, il Viaggio e lo Spirito”, Laruffa Editore, ci dice che nei salotti liberali milanesi le donne presero ad indossarlo in omaggio a quelle lontane indomite contrade in lotta contro il Borbone.
Nel 1847 la rivolta di Reggio e Gerace, un ulteriore ingente tributo vermiglio del popolo calabrese alla causa risorgimentale, proprio per la ferocia con la quale l’esercito di Ferdinando II la represse, accanendosi anche con i cadaveri degli insorti, destò in tutta Italia sentimenti di commozione e di sentita solidarietà, e l’orrore per le barbare fucilazioni fu oggetto di ampie cronache in tutti i giornali liberali dell’epoca. In breve tempo il “cappello alla calabrese” divenne l’emblema della resistenza all’oppressione e segno di riconoscimento tra i cospiratori di tutta la Penisola. Tanto che la polizia Asburgica, quanto quella Borbonica, vietarono rigorosamente portarlo, in quanto “segno distintivo di partito antipolitico”, pena l’immediato arresto.
Il “cappello alla calabrese” piacque anche a Giuseppe Verdi che lo fece portare al protagonista della sua opera “Ernani”, tratta dal dramma di Victor Hugo, Hernani: un eroico bandito (che in realtà è un nobile spagnolo), il quale combatte l’ingiustizia e la tirannide. E anche Garibaldi, l’eroe dei due mondi, non ne fu immune e, il suo tocco sudamericano, successivamente, influenzò anche la moda delle gentildonne. Ma la cosa ancora più singolare, e forse meno conosciuta ai più, è che uno dei tratti distintivi più evidenti di uno dei più famosi ed apprezzati corpi dell’Esercito Italiano, gli Alpini, fin dalla sua costituzione, 15 ottobre 1872, riprende il “cappello alla calabrese” - o all’Ernani, ricordando l'opera verdiana - a significare che il copricapo con la piuma, ritenuto “sovversivo” e bandito con tanto di decreto dall’impero asburgico e dal regno borbonico, non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo per l'uniforme ma, portato tuttora sulle teste dei nostri Alpini, a memoria dei martiri calabresi e di tutti i caduti per la libertà del nostro Paese, è un simbolo significativo per la nostra storia nazionale.