A febbraio sarà presente in una puntata di Rocco Schiavone, serie tv Rai con protagonista Marco Giallini. Francesco De Francesco è un “ragazzo” di 40 anni che vive ogni giorno «cercando di migliorarsi e di scoprire/vivere sempre di più questa esperienza bellissima chiamata vita».

Il giovane attore ha vissuto in Calabria per la prima parte della sua vita. «Ho vissuto il mio quotidiano in Calabria per i primi 19 anni di vita vivendo a Cittadella del Capo. I miei genitori vivono ancora lì ed ogni anno ritorno come tutti i ragazzi per le festività comandate e in estate. Mi sono diplomato al liceo scientifico di Cetraro ed ho studiato per 6 anni al conservatorio di Cosenza violoncello».

Finito il liceo si è iscritto ad ingegneria al Politecnico di Milano. «Ero molto bravo nelle materie scientifiche. Sentivo però che non era la mia strada e così dopo un anno decisi di intraprendere la strada attoriale. Il fuoco che avevo dentro fin da bambino. Entrai subito a Firenze nella compagnia stabile Krypton e ci rimasi per 5 anni con decide di produzioni teatrali in giro per l’Italia. Quella fu la mia vera “gavetta” che mi formò tanto come attore ed artista».

Poi la decisione di andare nella Capitale. «Trasferitomi a Roma a 26 anni decisi di provare a fare cinema e dopo un paio di anni inizia con ruoli medio piccoli in diverse produzioni indipendenti. Film con piccoli budget ma molto interessanti nella sperimentazione cinematografica».

E a Roma inizia la sua carriera artistica. «A 33 anni ebbi la fortuna di essere scelto come protagonista del film “La scelta giusta”. Film che tutt’ora è visibile su Amazon Prime. Purtroppo coincise con l’inizio della pandemia e questo non agevolò né il film né me. E come tutti sappiamo, nei successivi 2 anni il mondo cinematografico ha subito particolarmente l’evento coronavirus».

E proviamo a capire quali sono state le sue più grandi soddisfazioni. «Io sinceramente mi sento soddisfatto ogni qualvolta riesco a fare ciò che mi pongo come obiettivo. Cerco sempre di trovare qualcosa nel quotidiano che mi riempia. Vivo per questo. Credo che la cultura aiuti a sfamare la mente, a dare un senso, un indirizzamento. Credo che il dare un senso a qualcosa sia l’unica vera libertà che nessuno mai possa toglierci. Perché il senso ha a che fare con l’intimità».

E poi sono arrivati i cortometraggi. «Sì, tanti, credo che lavorare costantemente aiuti a scoprire sempre di più lo strumento corpo che è la base del lavoro attoriale. Fare tanti cortometraggi ti permette di avere una continuità lavorativa. Oggi il mondo del cortometraggio è un mondo in enorme sviluppo, credo sia una fetta importante del futuro cinematografico».

Il film che gli piacerebbe fare… «Beh vorrei essere diretto da Tornatore. E spero che presto, quest’occasione capiti».

Ma i momenti più duri non sono mancati. «Il periodo più duro sicuramente quello Covid e post Covid. Credo che il mondo lavorativo e relazionale stia e sia cambiato tanto. Non so sinceramente se il mondo stia andando nella direzione giusta».

Ci sarà stato anche un momento un cui è prevalsa la paura di non farcela. «Aver paura di non farcela è un’emozione che tendo a controllare. Ti manipola e ti blocca. Ogni giorno. Credo invece nella costruzione del quotidiano. Gli attori sono liberi professionista ed esserlo in questo momento storico è sicuramente non semplice»

È necessario reagire. «Sì, bisogna costruire ogni giorno, un passo alla volta. Questo mi permette di avere costantemente un rapporto di fiducia con me stesso e consente di costruire quel tempio che ha un disegno in continuo movimento, evoluzione. Bisogna imparare ed essere morbidi e ad accettare i cambiamenti. La vita è cambiamento ed accettarlo non è così banale».

Cosa è restato in Francesco della Calabria? «Non lo so, posso solo dire che quando ritorno a casa dai miei, vivendo il territorio sento che il mio corpo è più rilassato. Ti riconosci nel tramonto, negli amici, negli sguardi, nelle contraddizioni di una terra difficile, bella, piena di risorse. La Calabria è identità. È la radice, ognuno di noi però ha il dovere di sviluppare quel ramo nel modo migliore possibile affinché l’albero possa essere la sua versione migliore. Sana, piena di frutti e di amore per sé e gli altri. Siamo un popolo molto empatico e aperto. Bisogna che queste caratteristiche vengano messe in atto ogni giorno»,