Il procuratore aggiunto di Cosenza, già pm antimafia di Catanzaro, presenta il suo libro appena dato alle stampe. Storie di coraggio e di ribellione che raccontano quindici anni di lotta alla mafia nella trincea di Vibo Valentia
Tutti gli articoli di Cultura
PHOTO
La parola contro la ’ndrangheta. Tra tanti pentiti che ha conosciuto, la parola di un «pentito vero», un ergastolano pluriomicida che ha rinnegato i disvalori mafiosi e di riconciliarsi con Dio. Tra tanti silenzi, la parola dei testimoni di giustizia che – per speranza o disperazione – hanno infranto il muro dell’omertà. La parola di chi ha provato a salvare i propri figli che avevano smarrito la retta via. Tante storie, un messaggio di speranza. Marisa Manzini, procuratore aggiunto di Cosenza, già tra i magistrato di punta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nel corso di un colloquio-intervista con il condirettore di LaC Tv Pietro Comito, ha presentato al “Festival Leggere & Scrivere” in corso a Palazzo Gagliardi di Vibo Valentia, “Fai silenzio ca parrasti assai”, il libro a sua firma edito da Rubbettino.
“Fai silenzio…” racconta, attraverso alcune storie simbolo, un percorso di circa quindici anni tra il bene e il male, del quale Marisa Manzini – in veste di magistrato antimafia – è stata testimone e protagonista. La provincia di Vibo Valentia, in cui l’esistenza della mafia si negava e teatro prima del suo arrivo di una mattanza scandita da ripetuti fatti di sangue spesso derubricati a «questioni di corna», diventa così un avamposto carico di contraddizioni e metaforico: paesaggi della bellezza struggente rovinati dalla crudele mano dell’uomo; talenti, sogni, speranza, vanificate dal crimine organizzato. È il microcosmo del clan Mancuso (fino ad allora mai giudiziariamente riconosciuto come associazione mafiosa) e delle sue cosche satelliti.
Racconta il bene e il male, Marisa Manzini. Racconta paura e coraggio. Racconta storie vere con una sorprendente capacità narrativa, al contempo sobria e potente. Presenti, in una sala rivelatasi troppo piccola per uno degli eventi più partecipati della prestigiosa rassegna letteraria, numerosi colleghi magistrati, vertici delle istituzioni, uomini delle forze di polizia, ma anche alcuni tra i protagonisti del suo libro, come i genitori di Michele Penna, il giovane di Stefanaconi vittima della lupara bianca nel 2007: una madre e un padre che, custodi di valori sani e di un amore immenso hanno provato invano a riportare la luce nella vita di figlio caduto nell’ombra. C’erano Giovanna Fronte, l’avvocato che ha assistito il testimone di giustizia Nello Ruello nel suo dolorosissimo percorso di denuncia. C’era la figlia di Ruello Mariarita. E poi Angela Napoli, l’ex parlamentare antimafia a cui si rivolse Ewelina Pitlartz, moglie di Domenico Mancuso, quando decise di ribellarsi alla famiglia affidandosi alla protezione dello Stato. Tante persone, uomini e donne, che hanno rappresentato spiragli di luce in una fitta tenebra.
Un libro intenso, quello scritto da Marisa Manzini, che trae il suo titolo dalle parole pronunciate dal boss Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni”, nell’ottobre del 2016, quando la stessa Marisa Manzini, nel corso del processo “Black money”, affrontò il suicidio della moglie del capomafia, Tita Buccafusca, a cui nello stesso libro, è dedicata una delle parti più toccanti. Un libro che racconta la dignità di ha toccato il fondo ed è stato capace di rialzarsi, di chi ha scelto di ricominciare lontano da qui, di chi è rimasto qui per ricominciare, di chi – anche solo grazie alla parola, alla verità – ha vinto.
Tutti i proventi del libro saranno interamente devoluti all'Associazione Fervicredo (Feriti e Vittime della criminalità e del Dovere), dedita all'assistenza degli appartenenti a tutti i Corpi dei Comparti sicurezza, difesa e soccorso, e dei loro familiari, rimasti Vittime del Dovere. Ad annunciarlo p stata lo stesso magistrato, nel corso della presentazione del suo libro. «Siamo eccezionalmente grati al procuratore Manzini - ha detto Mirko Schio, Presidente di Fervicredo - che ha avuto per noi parole di elogio definendo 'lodevole' l'attivita' che portiamo avanti. Sono parole che per noi assumono un significato ancor più profondo perchè provengono da chi davvero sa cosa significhi l'adempimento del dovere diuturno, silenzioso e sacrificato dei Servitori dello Stato, vivendolo in prima persona e, soprattutto, al fianco di donne e uomini in divisa che dedicano l'esistenza alla sicurezza di tutti, senza esitare anche di fronte al rischio di rimetterci la vita o la salute».