INTERVISTA | Nel 2014 la prima foto sul social più trendy, oggi il successo e 45mila follower. Ha inventato da zero un lavoro creativo e Adobe e Huawei l’hanno voluta come testimonial. Nata (e rimasta) in Calabria: ecco la sua storia
Tutti gli articoli di Cultura
PHOTO
La sua prima foto su Instagram è quella del mare del Tirreno che si infrange sugli scogli. Anno 2014, mese settembre. Facebook ha allagato la nostra vita sociale con il suo blu accecante mentre Instagram è ancora un rifugio solo per fotoamatori.
Fabiola Caliò non ha neanche trent’anni, vive a Cosenza e non sa ancora cosa farà da grande. Non lo sa nemmeno quando compra la sua prima Reflex e inizia a esplorare il mondo del fotoritocco. I primi esperimenti restano in una cartella del suo computer, ma nel corso dei mesi diventa sempre più abile a calibrare la luce e i colori, e allora si lancia su Instagram.
All’inizio sono paesaggi, boschi, montagne (la Sila specialmente), poi tocca ai libri che diventano i soggetti dei suoi still life accompagnati da caption (le didascalie) sia in italiano che in inglese. I suoi follower aumentano.
Intanto, nel mondo, si moltiplicano velocemente le “artiste digitali” che creano mondi fantastici mixando le potenzialità di un social sempre più à la page, con l’attitudine al fiabesco: con pochi tocchi salotti si trasformano in acquari di sirene, letti disfatti in set per video in stop motion da migliaia e migliaia di visualizzazioni, finestre in oblò di navi. Gli utenti le adorano, i brand le cercano, e loro si sono inventate un lavoro che prima non c’era.
Fabiola, aka Glinda Izabel, possiamo definirti influencer?
«Non mi sento una influencer, meglio “creatrice di contenuti artistici”».
E che cosa fai esattamente?
«Creo foto che poi le ritocco digitalmente: studio la posa, gli oggetti intorno, allestisco il set, scatto e passo all’editing e poi, naturalmente, condivido sui social».
Quanto tempo ci vuole per uno scatto perfetto?
«Anche molte ore. A casa mia, ad esempio, non ho ancora il parquet, e per fare alcune foto lo dobbiamo montare in certi punti precisi e ci vuole tempo. È accaduto anche di disfare completamente tutto perché qualcosa non era al punto giusto. È faticoso ma divertente».
Come hai scoperto questo talento?
«Sono un’autodidatta del fotoritocco ma soprattutto una grande appassionata, quando ho comprato la mia prima macchina fotografica professionale mi si è aperto un mondo e lì ho capito la mia vera attitudine».
I libri per molto tempo sono stati i tuoi soggetti preferiti.
«Quando ho cominciato, la community di bookstagram era veramente agli inizi, acerba. Non eravamo moltissimi e questo mi ha aiutato a interagire meglio con altre colleghe che, come me, muovevano i primi passi in questo mondo nuovo. Ci scambiavamo consigli sulle letture ma anche sulle fotografie, su come allestire il set, come scattare, che scenografia scegliere».
Alcune content artist nel mondo sono diventate delle vere e proprie star dei social.
«Alcune fanno delle creazioni meravigliose, penso ad esempio a Elizabeth Sagan che adoro, Allthatisshe, Lifeofaivax tutte donne che hanno creato dal nulla un mestiere e adesso sono un modello per chi scopre la passione per una certa arte digitale».
Alla fine per te è diventato un lavoro a tempo pieno, su IG hai 51mila follower e sono in crescita.
«Quando ho cominciato a vedere crescere la mia community mi sono spaventata. So che è difficile da credere, perché si pensa che chi si iscrive sui social insegua la popolarità a tutti i costi, ma io non credevo che accaddesse a me e così in fretta. Sono molto timida, all’inizio cercavo anche di non apparire nelle foto, prediligevo solo i libri, al massimo concedevo una mano che spuntava su una copertina. Adesso sono più sciolta anche se sempre un po’ intimorita».
Di cosa hai paura?
«C’è stato più di un momento in cui ho pensato di non potercela fare, di non avere le capacità o la forza o la pazienza, perché ci vuole pazienza e anche molto studio. Quando ero una studentessa fui costretta a lasciare gli studi all’Università troppo presto e fu un periodo buio, molto. La fotografia mi ha salvata e oggi mi ha permesso di fare un lavoro meraviglioso che mi sta regalando la vita che volevo».
Un colosso internazionale della fotografia ti ha voluta come testimonial, come ti ha scoperta Adobe?
«Merito di una tazza di caffè».
Racconta.
«Devo tutto a quella foto: ci sono io mentre sbircio oltre l’orlo di una enorme tazza di caffè. Il giorno dopo la pubblicazione mi ha contattata Adobe e mi ha chiesto di creare tutorial per i principanti di Photoshop. Anche lì emozione e paura si sono date la mano ma alla fine ho capito che serve solo chiudere un attimo gli occhi, prendere fiato e godersi quello che ci aspetta, non è tutto tempesta e bufera».
E poi è arrivato anche Huawei…
«Huawei mi ha contattata durante il lockdown per affidarmi la campagna di lancio del suo nuovo camera phone. All’inizio era previsto che producessi solo due contenuti, ma dopo i primi scatti è iniziata una collaborazione durata per tutto il 2020. Ho concluso la campagna con la foto di Morano, che è stata ripubblicata da Huawei in Europa e in Asia. L’ho realizzata con il mio compagno, Daniele Renzetti che lavora con me ed è il mio braccio destro. In quello scatto c’è tutto: la mia terra, i miei libri, la libertà di correre a piedi scalzi».
Nel primo lockdown hai avuto paura?
«È stato colpo terribile. Ho temuto che finisse tutto all’aria. Senza poter viaggiare, visitare i posti da fotografare, mi sentivo persa, ho pensato: ecco, è finito tutto. Invece ancora una volta il destino mi ha smentito, per fortuna».
Ma col successo arrivano spesso anche gli hater, ti è capitato di doverli affrontare?
«Sì, mi è capitato. All’inizio non l’ho presa bene. Qualcuno ha iniziato a fare commenti sul mio fisico, dicevano che non avevo le caviglie sottili. Mi sono arrabbiata, ero senza parole. Poi sai che mi sono detta? Io sto in piedi tutto il giorno, lavoro, creo, scatto e ho bisogno di caviglie forti, che ben vengano! Purtroppo credo non ci si abitui mai a leggere e digerire certi commenti, devo imparare a non dargli peso».
La Calabria è molto instagrammabile, potrebbe crescere proprio qui un fermento artistico digitale?
«Certamente, il visual storytelling è una strada che con il talento e l'impegno porta grandi soddisfazioni, poi viviamo in una regione ricca di luoghi incantevoli, set naturali, quindi sì, perché no. Tutti e tutte hanno il diritto di mettersi in gioco. Non conosco appassionate di questo settore in Calabria, ma mi piacerebbe».
Allora è vero: se puoi sognarlo, puoi farlo?
«Sì e ancora sì. Anche le mamme, che in questo momento sono in casa e non sanno come reinventarsi e credono di essere fuori da un ambito lavorativo appagante, devono sapere che se c’è una passione, per realizzare un progetto non servono grandi risorse. A me è bastato un computer e una macchina fotografica. A volte il mondo se non c’è bisogna crearlo, anche usando qualche ritocco».