«No, non sono affatto pentito», risponde senza titubanza Lino Licari quando gli si chiede della sua trasformazione da operaio a esploratore. Racconta anche una storia personale da calabrese in controtendenza, la pubblicazione della prima “Guida ai siti archeologici del parco nazionale dell’Aspromonte” presentata a Rosarno, città dell’autore, che 25 anni fa rinunciò al suo posto fisso nel porto di Gioia Tauro appena aperto.

Una rinuncia che evidentemente ha portato fortuna - «mi sentivo chiuso, ho scelto di abbracciare la passione per la montagna», confessa Licari – visto che successivamente si è formato quale guida ufficiale del Parco del quale oggi propone un racconto diverso.

«La nostra montagna – spiega – non è solo natura ma è anche un patrimonio archeologico da valorizzare». Licari ha censito 45 posti che custodiscono i resti delle varie civiltà stanziate o transitate ma ammette che «il lavoro è incompleto poiché mi sono limitato a inserire solo i siti visitabili, complessivamente parliamo di una ottantina di luoghi che raccontano la storia». Non c’è solo un problema di altimetria, a rendere non fruibili tutti i giacimenti - «con mia grande sorpresa ho trovato resti anche a 1560 metri», aggiunge – ma è anche una questione di risorse da investire su una montagna tornata sotto i riflettori dopo gli incendi di questa estate.

«Il lavoro di Licari – conclude Marco Antonio Scaravilli, funzionario della Soprintendenza archeologica – inizia a gettare luce sull’archeologia aspromontana che vogliamo certamente indagare sempre di più».