Un giovanissimo soldato partito da San Giovanni in Fiore, sui monti della Sila, scrive alla famiglia la sua ultima lettera dal fronte della prima guerra mondiale sul fiume Isonzo. Non farà mai più ritorno, nemmeno da morto. Una riflessione sulla guerra in atto tra Russia e Ucraina dopo 105 anni
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Mia nonna Maria Marra ne parlava sempre, specie in prossimità del Santo Natale. Quel tanto amato fratello, mai vissuto (lei aveva solo tre anni quando partì per la prima guerra mondiale), era stato arruolato nel Regio Esercito come tanti altri giovani italiani spediti verso campagne perse in ogni angolo d’Europa; provenivano in gran parte da famiglie numerose e contadine. Il soldato Giuseppe Marra aveva lasciato uno dei paesi più grossi e poveri della Calabria, San Giovanni in Fiore, che all’epoca già superava i 16.000 abitanti, posto nel cuore della Sila Grande a cavallo tra le province di Cosenza e Catanzaro, isolato dal resto del mondo, tra foreste di pini e strade tortuose che dalle marine crotonesi cercavano di inerpicarsi verso le misteriose selve già note ai tempi dei greci e dei romani.
Era soltanto un giovanissimo pieno di vita, che dava le braccia e la schiena alle fatiche, questo solo per mandare avanti la famiglia, considerando che all’epoca c’era ben poco da mangiare. Trascorreva le giornate dietro gli animali o al massimo nellebrulle terre di montagna, arate dai buoi e seminate a grano là dove possibile. Giuseppe, sul fronte, aveva ormai deposto la zappa per imbracciare il fucile. Quando poteva, scriveva alla famiglia, facendosi aiutare dallo scrivano militare.Cercava di rassicurare tutti sulle sue condizioni di salute, con un contorno fatto di preghiere e di speranze. Le sue lettere quando arrivavano fin quaggiù davano barlumi di luce ed emozioni e chissà pure quante lacrime.
Il 13 maggio 1917, Giuseppe, scrisse la sua ultima lettera: “MIO CARO PADRE VIDO NOTIZIE DELLA MIA BUONA SALUTE E COSI SPERAMO CHE IDIO MI LA DA SEMPRE COME PURE SPERO DI VOI TUTTI DI FAMIGLIA (…)”.
Nell’autunno seguente, durante la battaglia di Caporetto e dopo diversi mesi di silenzio, una scheggia di una bomba spense per sempre la vita di Giuseppe. La dodicesima battaglia dell’Isonzo, dall’omonimo fiume, meglio nota come la “disfatta” di Caporetto (oggi territorio sloveno) da allora fu la tomba per decine di migliaia di soldati, tra cui anche il povero Giuseppe. Fu sepolto sulle rive dell’Isonzo da Francesco Mele, detto “targiune”, un commilitone e paesano.
Dal 24 ottobre al 12 novembre 1917, a Caporetto, ci furono 50.000 tra morti e feriti, 265.000 prigionieri, molti dei quali periti in seguito, un numero indefinito di sbandati e disertori ed oltre un milione di profughi civili. Ancora oggi assistiamo a guerre e conflitti e, si azzarda a parlare persino di “terza guerra mondiale”, come se all’umanità non siano già bastate le barbarie delle guerre in ogni angolo del mondo.Assurdità generate da menti insane.
Mia nonna era molto legata a questa storia e da allora ha vissuto per altri ottantasei anni ricordando sempre quel pezzo di cuore strappatogli, specie a Natale, quando suo fratello non fece più ritorno. Diversi anni fa, ha chiuso anche lei gli occhi per sempre e chissà se finalmente avrà incontrato quel tanto amato fratello che non ha potuto mai abbracciare per tutta una vita. Era una donna umile, buona e dotata di una grande intelligenza. Ha pianto tanto, ripensando spesso a questi fatti, davanti ad un focolare di contrada Saltante, una località ad oltre 1100 metri, dove ha trascorso gran parte della sua vita, in disparte e meditazione. Ringrazio mio zio Salvatore Congi che gelosamente conserva la lettera e la foto di Giuseppe Marra e mio padre Giovanni Congi per i racconti sulle vicende di Caporetto. Auguro un buon natale a tutti, che sia fatto di riflessione e soprattutto di tanta pace.