Rino Gaetano, all'anagrafe Salvatore Antonio Gaetano, nacque a Crotone il 29 ottobre 1950, trovando precoce morte il 2 giugno del 1981, a Roma, dove visse e si formò come artista sin da bambino. Le definizioni, così come capita troppo spesso, si sono inflazionate a sproposito: re del nonsense, menestrello, fustigatore degli usi e costumi italioti; in sei long playing, quando i vinile avevano questa categoria quasi antologica, e una quantità “ultracommerciale” di 45 giri e altro, riuscì nella sua troppo breve vita a segnare un modo nuovo di interpretare la categoria di cantautore. In questo suo immaginifico 73simo compleanno, proviamo a rammentare quanto è rimasto figlio unico, come suo fratello (che non ebbe mai) ma che rese comunque famoso nel pezzo che diede vita anche al suo secondo lavoro, nel 1976. Cerchiamo di farlo assieme a Massimo Cotto (*), giornalista e scrittore, autore e speaker radio televisivo ma soprattutto biografo, più che intervistatore, dei più grandi interpreti della canzone d’autore italiana ed internazionale, oltre che autore, interprete teatrale e direttore artistico di rassegne e progetti, tra i quali, quello di Una Casa per Rino che lo vide protagonista a Crotone, a inizi anni 2000, del fortunato progetto che contribuì a restituire il grande pubblico al cantautore calabro-romano.

Altro che nonsense, mi verrebbe da chiederti, secco! Anche perché Rino Gaetano fu il primo a fare nomi e cognomi. Ma preferisco partire dalla tua prima “descrizione” più che definizione: “Un soffio al cuore all’interno dell’encefalogramma della canzone d’autore”. Così ti venne di accompagnare il grande pubblico alla riscoperta di Rino Gaetano ad inizi anni 2000. Cosa aggiungeresti o aggiusteresti oggi?
«Forse direi che Rino oggi sarebbe un colpo al cuore, più che un soffio. Il soffio rappresentava l’anomalia, l’atipicità di Rino, il suo non essere inquadrato e di conseguenza capito. Nessuno sapeva in quale categoria metterlo. La musica leggera lo giudicava troppo cervellotico e complicato per gli standard sanremesi, il mondo della canzone d’autore lo attaccava perché troppo poco impegnato e barricadero. Oggi, però, ci sarebbe bisogno di uno come lui, di un colpo secco che cambia il respiro. Se ascolti le radio, a volte hai l’impressione che la musica italiana sia in sala rianimazione. Con tutto il rispetto per le nuove tendenze, il suono è spesso omologato, ripetitivo, banale. Non basta ripetere “bro”, “frate” e “raga” per poter dire di aver scritto una canzone. C’è tanta nuova musica di qualità in giro, ma fatica a emergere».

Per tornare al reale nonsense che è parte della letteratura inglese, quanto poco abbiamo ancora saputo scoprire dell’internazionalità di Rino Gaetano? Non è che ancora in Italia sappiamo così tanto poco di Ionesco (che era uno dei riferimenti assoluti di Rino), che non abbiamo ancora gli strumenti per comprenderne appieno la sua poetica?
«Se Rino fosse nato in America o in Inghilterra oggi lo studierebbero nelle scuole e sarebbe rappresentato a teatro. Purtroppo, siamo abituati a viaggiare in superficie, a pelo d’acqua. Almeno nella musica popolare. Perché? Perché la consideriamo una forma d’intrattenimento e non un’espressione culturale. Siamo indietro e non credo recupereremo terreno tanto presto».

Metà Africa metà Europa è davvero deflagrante per esegesi storica, quasi a rispondere all’esigenza di “considerare” chi eravamo e da dove venivamo. A 73 anni, oggi Rino da dove sarebbe partito, secondo te, per “guardare” all’Ucraina o al Medio Oriente?
«Sarebbe partito da un punto A per un punto B. Poi sarebbe tornato a casa e avrebbe rifatto l’intero viaggio mentale dal punto B al punto A, perché Rino era come De André, voleva conoscere ogni possibile percorso, ogni storia, ogni angolazione. Per poi scegliere la sua».

Buon compleanno Rino, oggi! Già vi vedo, a sfottervi in radio o a scrivere l’ennesimo libro: ma cosa gli regaleresti oggi e, soprattutto, che si farebbe regalare Massimo Cotto da Rino?
«Non dico l’ukulele, altrimenti si scatena di nuovo l’inferno. Mi farei regalare una canzone. Solo per me. A lui regalerei un calendario con 364 giorni. Tutti meno il 2 giugno».

* Massimo Cotto ha lavorato a lungo nei quotidiani e per le principali riviste italiane (Espresso, Epoca, Europeo, Max...) e internazionali (Billboard, Howl!). Per vent’anni ha lavorato in Rai come autore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi di numerosi programmi (Festival di Sanremo, Festival di Castrocaro). Tra i suoi lavori teatrali: All’ombra dell’ultimo sole sul mondo di Fabrizio De André e Da quando a ora in scena, con Giorgio Faletti. È direttore artistico del Festival di Castrocaro, del Premio De Andrè, di Astimusica e lo è stato di Visionaria. Ha scritto libri, biografie ed esegesi praticamente sui e per i più grandi interpreti della canzone d’autore italiana ed internazionale: da Leonard Cohen a Ligabue, citiamo solo We Will Rock You, Il grande libro del rock, Le lacrime di Marley, Everybody’s Talking ed anche Ma il cielo è sempre più blu, per Mondadori, che è biografia ma anche una rassegna di pensieri, racconti e canzoni inedite, carpite da agende e scritti di Rino Gaetano. Oggi su Virgin Radio conduce Rock & Talk dalle 06.30 alle 09.00 (dal lunedì al venerdì) insieme a Dr. Feelgood e Antonello Piroso.