Il 30 maggio 1975, a quattro anni dal suo arrivo in Calabria e dopo solo tre anni accademici, Beniamino Andreatta, in un'aula stracolma di docenti e di studenti, pronuncia un discorso di commiato che, a distanza di mezzo secolo, consente una riflessione non banale sulle sorti dell'università italiana e, in particolare, su quelle dell'Ateneo di Arcavacata.

In uno dei passaggi più significativi, Andreatta sottolineerà la necessità di “mantenere, con un po’ di distanza dalle polemiche di tutti i giorni, il senso che tutti abbiamo partecipato e stiamo partecipando a una avventura importante, che stiamo costruendo una tradizione”.

Sarà poi il caso di operare alcune scelte che influiranno sul futuro dell'Università della Calabria: “Possiamo costruire una tradizione sciatta, contraddittoria, o possiamo stabilire una tradizione con questa tensione alla ricerca della qualità e dell’eccellenza. Possiamo stabilire un rapporto corretto con la politica o possiamo ricostruire un rapporto di sudditanza, di clientela, con la politica. Possiamo fare della ricerca innovativa o possiamo fare della ricerca puramente ripetitiva e compilativa”.

L'auspicio del primo rettore dell'Ateneo di Arcavacata è che docenti e studenti possano trovare quella “tensione collettiva” che permetta loro di scegliere la “strada della qualità”, opponendosi a coloro che invece avrebbero preferito percorrerne un'altra.

Cosa prevedesse la strada della qualità, Andreatta lo ha chiarito in diverse occasioni, facendo in modo che i principi nei quali credeva confluissero nello Statuto dell'università che aveva contribuito a fondare. In esso, per esempio, si riconosce l’autonomia tra i diversi corpi dell’università che ha preparato il superamento delle facoltà nei dipartimenti. Tuttavia, nel discorso del '75, denuncerà il preoccupante permanere di “un sistema di relazioni pre-capitalistico e clientelare in cui la selezione del personale viene fatta tramite circuiti politici”.

Per quanto tempo ancora si è conservata quella tensione, quella speranza, quel gusto faustiano di progettazione del futuro che ha caratterizzato i padri fondatori dell'Ateneo calabrese?

A Cosenza, aveva detto Andreatta inaugurando il primo anno accademico, deve sorgere una società veramente nuova di giovani, in una dimensione di grande libertà. Autonomia, tradizione, impegno, libertà: la scelta delle parole ricalca sorprendentemente quella recentemente adottata da Tomaso Montanari, rettore dell'Università per Stranieri di Siena, in un bel volumetto, intitolato Libera università, da poco uscito per Einaudi e dedicato a ciò che oggi minaccia in Italia la libertà della conoscenza e dell'insegnamento universitario e all'individuazione delle misure che consentirebbero di far fronte a questi pericoli. Pericoli che evidentemente non erano stati scongiurati del tutto quando Andreatta scelse di lasciare la Calabria e che, secondo quanto assicura Montanari, non sono stati ancora superati dall'Accademia italiana.