L'addio burrascoso al Corriere della Calabria e il repentino ingresso nella squadra delle testate Diemmecom fanno del passaggio della giornalista già Repubblica ed Espresso una delle mosse più strategiche nella scena giornalistica regionale
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A Capodanno, insieme ai botti d’ordinanza, è scoppiata anche una delle collaborazioni storiche del professionismo calabrese. Il 31 dicembre Alessia Candito, trascorsi eccellenti con Espresso e Repubblica, da sette anni al Corriere della Calabria, tra le firme più note del panorama regionale, si congeda dal quotidiano che l'aveva accolta e valorizzata per espressa volontà dello scomparso direttore Paolo Pollichieni («Il mio più grande maestro – dichiarerà a tale proposito -. Il mio manuale di sopravvivenza in Calabria, ovvero nel luogo più pericoloso dove abbia mai lavorato» - Medio Oriente compreso, ndr.). E tra gli addetti ai lavori, la notizia fa rumore tanto quanto la novità che arriva insieme all'alba del 2020, che trova la giornalista già arruolata, ex abrupto, nella scuderia del network LaC.
Un colpo di mercato
Un vero colpo di mercato, con la Diemmecom che si aggiudica una delle figure chiave rimaste libere sulla scena. Solo qualche giorno prima, la giornalista aveva affidato ai social un lungo sfogo: "Dopo sette anni di lavoro e battaglie, da oggi mio malgrado non sono più una giornalista del Corriere della Calabria – scriveva sul suo profilo Facebook-. Da quando, nel settembre scorso, mi è stato comunicato che non mi sarebbe stato rinnovato il contratto per l’imperdonabile peccato di non provare stima nei confronti della Direttrice, ho vissuto tutte le fasi del lutto. La tristezza per essere cacciata da un giornale che era casa mia e come tale ho amato, difeso e protetto, la rabbia per tanti anni di sacrifici né riconosciuti né ripagati, infine l'accettazione (…). Quel giornale in grado di anticipare gli eventi, interpretarli con prospettive non banali, fare le pulci a piccoli e grandi senza esitare di fronte a nessuno, sempre e comunque «in direzione ostinata e contraria» non esiste più e c’è solo da prenderne atto (…)".
Latinoamericana
Una formazione lunga e complessa, la sua, da oggi al servizio del network, e che la Candito racconta generosamente, ad iniziare dal rientro in Calabria ed a Reggio, città dalla quale si era allontanata ragazzina, a 17 anni, e dove era tornata dopo undici anni, al termine di una lunga, complessa, movimentata esperienza all'estero. Lei, che aveva approcciato la carta stampata sin dal liceo, si sente giornalista - anzi: cronista, sin dalla verdissima età. E se i 18 anni la vedono a Roma, a 20 la troviamo già in Spagna, paese dove, grazie all’Erasmus, studia e lavora per affinare la lingua che le aprirà le porte dell'America Latina: lo spagnolo. Sarà proprio la padronanza dell'idioma ispanico, una volta sbarcata a Caracas, che le permetterà di mettere a segno il primo dei suoi grandi reportage, sul giro di prostituzione maschile che portava decine e decine di ragazzi del Barrio a vendere il proprio corpo nei quartieri alti della capitale.
La rivoluzione venezuelana
Non male per una studentessa arrivata in Venezuela per una tesi di laurea sulla rivoluzione bolivariana di Chavez, e che tornata in Italia per laurearsi rientrava nel paese latino in forze a Telesur. «Il mio obiettivo all’epoca - racconta– era quello di raccontare lo straordinario cambiamento in atto nel paese. Le fasi che avevano portato alla rivoluzione di Chavez. Per questo, ero rimasta fino al 2007. Un'esperienza dura, un oceano di distanza da casa mia - 24 ore di viaggio solo per poter tornare». Dopo tre anni di andirivieni, il rientro in Italia, la scuola di giornalismo di Tor Vergata, e due stages importanti: Rai News 24 e l’Ansa di Beirut. «In Rai ho appreso i meccanismi di un canale di informazione perennemente acceso sul mondo: ma il Libano mi ha fatto capire che molte delle cose che si leggono sul Medio Oriente sono raccontate da chi le vede dall’esterno. In pochi conoscono il mondo arabo: e se non la vivi in prima persona non puoi certo raccontarlo, né forse capirlo fino infondo. Rientrata a Roma, ho conseguito nel 2010 l'esame da professionista, e ho iniziato a lavorare a reportage e documentari, produzioni mie».
Le inchieste sulla 'ndrangheta
Insieme ai temi mediorientali, i primi lavori sulla ‘ndrangheta: le ramificazioni nel milanese, e poi, sulla scia delle grandi operazioni del 2010 “Meta” e “Crimine”, le inchieste sulla scena reggina. Alla fine la decisione, nell’estate del 2011, di rientrare in Calabria. «Una volta a Reggio, mi accorsi che anche la mia città viveva una condizione paragonabile in tutto e per tutto a quella di uno Stato in guerra. Da figlia di questa terra, compresi in fondo impegnarsi era una sorta di dovere ».
Il Corriere di Pollichieni
«Fu così che Paolo Pollichieni mi volle al Corriere della Calabria. Per quanto non venissi da situazioni di tutto riposo ed anzi fossi abituata agli scenari più disparati, ancora oggi sono convinta che la Calabria sia il posto più pericoloso dove abbia mai lavorato: viviamo una guerra, la 'ndrangheta è il nemico, ma la linea del fronte è assai frastagliata. La persona più insospettabile magari si rivela al servizio dei clan e non con posizioni di fila, come dimostrano le ultime inchieste. A quanto pare, sono sopravvissuta, e nel tempo sono arrivate anche le collaborazioni con l'Espresso prima, e poi con La Repubblica e le altre testate del gruppo, fermo restando la prosecuzione di quelle già in essere».
L’arrivo a LaC
Tutto è proseguito secondo copione fino all’improvvisa scomparsa del direttore Pollichieni e l’approdo a LaC. «Sono stata piacevolmente sorpresa dalla proposta. È arrivata immediatamente, e per me è fonte di grandi stimoli per il futuro. Si aprono nuove strade, che mi vedranno certamente proseguire nella mia professione, fatta di approfondimenti, inchieste, reportages che raccontino la Calabria senza veli, senza ipocrisie. Il giornalismo deve fare chiarezza, deve dare forza ai tanti che si impegnano, che persistono nel restare in Calabria per cambiare le cose. Dobbiamo ricordarci che nel nostro genoma ci sono briganti, ci sono pirati. Abbiamo il coraggio di lottare nel Dna: dobbiamo solo recuperarlo».