Risuonano la profondità dei versi della poetessa russa nata in terra oggi ucraina, censurata dal regime staliniano, e l'urgenza dei racconti dal fronte della giornalista russa di Novaja Gazeta, uccisa nel 2006
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«No, non sotto un cielo straniero / Non al riparo di ali straniere/Io ero allora col mio popolo/ Là dove, per sventura, il mio popolo era». Anna Achmatova, al secolo Anna Andreevna Gorenko, che acquisì il cognome tataro di una principessa antenata perché suo padre non voleva essere disonorato da una figlia che scriveva poesie, vergava la carta con questi versi mentre Stalin era al potere nell'Unione Sovietica. Era nata ad Odessa (Bol'soj Fontan), quando ancora la città non era ucraina ma sovietica, era cresciuta leggendo Tolstoj, aveva vissuto nel villaggio dello Zar vicino a San Pietroburgo e aveva studiato Legge a Kiev che ancora non era la capitale dell'Ucraina indipendente che sarebbe stata nel 1991, con la dissoluzione dell'Unione Sovietica. La sua vita si era, dunque, snodata tra luoghi oggi al centro di una guerra nel cuore dell'Europa.
Anna Achmatova, la Poesia come voce di un popolo
Anna Achmatova (foto Wikipedia) aveva conosciuto il regime staliniano che perseguitava gli oppositori, soffocava le voci e causava anche morti civili come la sua. Così quelle parole scritte nel suo Requiem oltre ottant’anni fa potrebbero, nel flusso eterno della poesia, anche oggi descrivere il sentire della città natia di Odessa immersa nell'attesa di un attacco russo, di Kiev e di tutte le altre città divenute teatro di bombardamenti. I suoi versi potrebbero essere quelli della resistenza del popolo ucraino. La poesia, il cui valore universale sarà celebrato in occasione della Giornata Mondiale della Poesia coincidente con il primo giorno di Primavera, è rivelazione costante, capace di attraversare tempi e di sopravvivere alle guerre.
Forse anche oggi Anna Achmatova sarebbe rimasta, come fece allora e come fece anche Pasternak, mentre molti intellettuali schiacciati dalla violenta opera staliniana di repressione lasciavano l'Unione Sovietica.
«Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato/ il riflesso del vostro volto/i vani palpiti di vane ali…/ fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi», scriveva dopo avere attraversato silenzi forzati e avere visto coprire i suoi versi pensanti con un velo pesante, sollevato solo dopo la fine dell'era staliniana.Mentre assistiamo a esodi verso i tanti confini dell'Ucraina di donne in fuga con bambine e bambine alla ricerca di salvezza, verso luoghi sconosciuti da popolare con la loro cultura e la loro spinta verso il cambiamento, tornano alla mente anche le file di altre madri esuli in patria, tra le quali la stessa Anna Achmatova, che andavano a trovare i figli nemici del regime di Stalin e incarcerati a Leningrado.
Lo sguardo si ferma in questa immensa distesa di terra e di storia al confine tra due Continenti che è la Russia e ritrova drammatici punti di contatto in soli cento anni. C'è sempre una guerra silente o dichiarata che minaccia la speranza senza riuscire a ucciderla. C'è sempre il desiderio, a volte anche strumentalizzato ma non per questo meno vitale e legittimo, di Libertà, liberato dalla parola e dalle azioni.
Morì a Mosca nel 1966, Anna Achmatova senza abbandonare mai la Russia, tanto che la poetessa Marina Cvetaeva la chiamò “Anna di tutte le Russie". Ma non fu l'unica a restare, nonostante le pressioni di un regime che nel tempo ha solo mutato volto. Avvicinandoci nel tempo, nella Federazione Russa dell'epoca post sovietica, visse per raccontare una verità scomoda ma necessaria in un altro sanguinario conflitto voluto da Vladimr Putin, all'epoca presidente della Federazione Russa già da sette anni, anche Anna Politkovskaja, giornalista uccisa in un agguato sotto casa nel 2006 a Mosca. Il mandante è ancora oggi sconosciuto.
Anna Politkovskaja, il dovere della verità
Coraggiose e puntuali le sue inchieste sulle sistematiche violazioni dei diritti umani commesse contro i civili dalle forze russe nella Cecenia, animata da impulsi indipendentisti questa volta rispetto alla Russia medesima, e di cui riferiva proprio a Dmitry Muratov, suo caporedattore, oggi direttore di Novaja Gazeta, per cui scriveva la Politkovskaja. Il ruolo di unica testata russa libera, in grado di denunciare e di informare dove regnano corruzione, violenza e connivenza, conquistato da questo giornale si deve certamente al lavoro prezioso svolto da lei alla quale lo stesso Muratov ha dedicato il premio Nobel per la Pace assegnatogli lo scorso anno.
Lei raccontava ciò che vedeva e questo la rendeva pericolosa per un sistema di potere asservito a Putin e ai suoi oligarchi; un sistema tale che della guerra e della violazione dei diritti umani non è in grado di fare a meno; un sistema che abbraccia e sostiene, anche e soprattutto militarmente, le spinte indipendentiste rispetto a Stati altri e dalle quali può trarre un vantaggio, come accaduto nell'Ucraina Orientale nel Donbass represso dal governo ucraino, soffocando invece quelle verso il suo di Governo, come avvenuto nella guerra in Cecenia raccontata da Anna Politkovskaja (foto da Wikipedia). Il suo omicidio è ancora drammaticamente emblematico, mentre Putin introduce in pieno tempo di guerra quando il racconto giornalistico indipendente dalle propagande dell'uno e dell'altra parte è ancora più vitale per l'opinione pubblica, una legge che punisce con condanne fino a 15 anni di carcere i cittadini russi e stranieri che diffondano informazioni false sulle forze armate. Un'altra delle sue guerre, questa volta alle parole e alle notizie che, per tutelare la sicurezza e l'incolumità dei giornalisti, ha causato la sospensione delle attività degli inviati in Russia dei principali network europei, tra cui anche la Rai.
C'è una Russia diversa
Quanto sta accadendo rischia di far confondere la cultura della bellezza con la vacuità di una spietata oligarchia. “Conservare in mezzo a qualsiasi amarezza l'alta serenità che non deve mai abbandonare l'uomo - ecco che cosa chiamava intelligenza”, scriveva Nikolai Vasilievich Gogol, nativo proprio dell'Ucraina centrale quando era ancora terra dell’impero Russo. Paese grande e complesso, la Russia, che ha sempre profondamente incrociato il suo destino con quello del Paese con cui oggi è in guerra. Patria del grande scrittore Fedor Dostoevskij che si voleva trascinare alla deriva per le sue origini, la Russia è capace, come ogni terra, di esprimere brillanti intelligenze che, per acume e grandi intensità emotiva e profondità, non avrebbero mai voluto queste guerre, come oggi non le vuole gran parte del popolo russo. Lo dicono i giovani lontani dalla patria anche nelle nostre piazze dove possono esprimere liberamente la loro opinione, lo ha scritto lo stesso Dmitry Muratov e lo ha testimoniato la giovane Katerina a Reggio Calabria da cinque anni.
C’è una Russia diversa, quindi, che allora come oggi invoca Libertà e Pace. E non è quella di Vladimir Putin.