«Perché un quartiere si deve ridurre ad essere ricordato quotidianamente sui giornali solo per la microcriminalità, solo per l'abbandono, solo per la spazzatura, solo per queste cose? A chi fa comodo? Perché se ne parla tutti i giorni e tutti sono ciechi, tutti sono sordi, tutti sono così indifferenti?».
Il quartiere di cui si parla è l'Aranceto nella zona a sud di Catanzaro, in cui vive una nutrita comunità rom. Nato negli anni '80, pian piano è diventato  simbolo di degrado come ci racconta un residente che questo quartiere lo ha visto nascere, ma preferisce offrire la sua testimonianza coperto dall'anonimato.
«Io ho visto un quartiere negli anni '80 che prometteva tanto - ricorda - Pianeggiante, molto luminoso, con una scuola e un asilo. Avrebbe dovuto fare da cerniera tra Catanzaro e Catanzaro lido. Quindi un posto strategico vicino al mare e vicino alla città. Si diceva che i mezzi di trasporto sarebbero stati intensificati, che sarebbero sorti dei servizi nuovi. E così all'inizio sembrava fosse. Lì vicino, nella località Passo di salto, sarebbe dovuto nascere un centro da destinare a fiere ed eventi. Di lì a breve è nato il centro commerciale Le Fornaci. Mio figlio ha frequentato qui l'asilo e posso dire che sia l'asilo che la scuola erano il fiore all'occhiello del decimo circolo, per le attività didattiche, per gli insegnanti. C'era un centro sociale, c'erano le suore che venivano da Santa Maria insieme ad altri bambini, era stato istituito un mercato rionale. Per due o tre anni di seguito c'è stato anche un circo e venivano organizzate gare ciclistiche lungo il vialone. Purtroppo già a metà anni '90 tutto questo viene meno. Le case popolari vengono assegnate, parecchie persone abbandonano queste case perché non si trovano a loro agio. Si vuole fare un'integrazione che di fatto non si è riusciti a fare. Parecchie case rimangono vuote e vengono occupate abusivamente. Questa occupazione pare sia stata deleteria. E chi ne ha pagato il prezzo alla fine sono state le persone che invece avevano investito del denaro comprando le case, e anche a un prezzo molto alto. Noi ora ci ritroviamo con delle case grandi che non si possono nè affittare né vendere perché i prezzi sono scesi in maniera incredibile. Valgono meno di un monolocale. Quindi cosa facciamo? Dobbiamo rimanere e subire alcune cose che non ci piacciono. Oppure chiudere e abbandonare le nostre case per poi non poter investire altrove. Noi abbiamo avuto anche l'Esercito ed è triste, tristissimo. In giro non c'era nessuno, si veniva fermati tutti i giorni».

Vivere nel degrado

Ha mai pensato di andare via?, gli chiediamo. «No - risponde -, non ho mai pensato di andare via perché non accetto quello che sta avvenendo. Non accetto questa indifferenza totale della nostra amministrazione comunale, dell'Aterp. Basterebbe poco. Non voglio entrare nel merito di cose che non sarei in grado di capire e commentare però ci sono alcune cose, minime, che migliorerebbero di gran lunga il quartiere. Ad esempio il degrado ambientale, la spazzatura per strada. E' così da sempre. Io ricordo che quando c'erano i bidoni e ancora non era partita la raccolta differenziata, anche allora non c'era la volontà di far funzionare bene il servizio. La spazzatura veniva abbandonata fuori dai cassonetti che poi venivano incendiati perché la spazzatura era troppa. Per non parlare del verde che non è mai esistito. All'inizio hanno fatto finta di piantare degli alberelli. Io non ho mai visto nessuno venire a potare un albero o tagliare l'erba. Ci pensano poi "alcuni" a mettere fuoco in estate con il rischio che le fiamme arrivino ad incendiare le macchine e danneggiare le abitazioni vicine. Il diserbo se viene fatto giusto due volte all'anno, viene fatto solo sulla strada principale, solo sulla facciata di bellezza. Tutto ciò che è all'interno rimane abbandonato. E' terra di nessuno. Lì vengono anche scaricare e abbandonare materiali ingombranti».

L'appello all'amministrazione comunale

Tra occupazioni abusive, rifiuti ed episodi di microcriminalità i residenti si sentono abbandonati dalle istituzioni. A chi è rivolto il suo appello? «L'appello lo rivolgo al nostro sindaco che è stato votato per più legislature. Ha promesso tanto e poi ci ha abbandonato. Io non ho mai visto un politico venire dalle nostre parti. Io non ho mai visto un interessamento della politica se non forse un leggero sistema clientelare che non va bene, che io rifiuto. Insieme all'Aranceto esiste viale Isonzo, esiste rione Fortuna, esistono tanti quartieri completamente abbandonati. Catanzaro non deve essere una città classista. La città è fatta di persone perbene, che hanno fatto delle scelte forse sbagliate, che non si possono permettere di andare via da questi quartieri e che comunque amano la città». Per i residenti della zona a sud del capoluogo di regione questi quartieri vanno rispettati, attenzionati, curati perché «anche da questi quartieri arrivano i voti, anche questi quartieri pagano le tasse. Io pago le tasse, le pago regolarmente. E non vedo perché se vado in alcune zone di Catanzaro trovo un minimo di decoro con le piante, l'erba tagliata. Io invece devo vivere tra sterpaglia e detriti, con la spazzatura che non viene ritirata. Vivere all'Aranceto significa avere un marchio».

«Siamo discriminati»

Un marchio pesante da sopportare che chi vive all'Aranceto racconta così: «Se vado in un ufficio pubblico a chiedere un documento e mi si chiede l'indirizzo a voce alta dall'impiegato e rispondo, la gente intorno a me mi scruta, si guarda come per dire "forse è un delinquente", e così anche i miei figli si sono portati un marchio a scuola. Se si viene fermati ad un normale posto di blocco, chi vive all'Aranceto viene trattato diversamente rispetto a chi vive in altre zone di Catanzaro. Che cos'è questa se non discriminazione?  E' assurdo tutto questo. E allora chiedo a chi ci governa: "perché ci avete ridotto in queste condizioni? Perché avete fatto sì che questo quartiere sia stato maltrattato?». Diverse volte il residente del quartiere Aranceto ha chiesto un incontro a chi amministra la città ma l'appuntamento è stato spesso negato o le rassicurazioni sono arrivate da chi non aveva competenze specifiche: «Mi è stato risposto "riferiremo, il suo quartiere sarà maggiormente attenzionato". Io non ho mai visto niente. Dobbiamo finirla, penso che si arrivato il momento di smuovere veramente le coscienze di ognuno di noi. Sono contenta che alcuni movimenti nati da pochi anni stanno iniziando a far sentire la loro voce perché è giusto che sia così».

Vivere nella paura

Oggi lei ha deciso di parlare nascondendo però la sua identità, perché?. «La scelta nasce dal fatto di non sentirsi tutelati. Già non si è ascoltati nelle sedi dovute in più nel nostro quartiere se si toccano argomenti che secondo me non dovrebbero turbare nessuno si rischia di ritrovarsi con la macchina incendiata o rubata. E sono dei messaggi molto eloquenti. Se io parlo e domani mi trovo la macchina bruciata è normale che capisco che non sono tutelato, non sono protetto e allora sto zitto. Ognuno di noi ha famiglia e ha paura di rovinare la tranquillità familiare. C'è tanta paura perché evidentemente c'è poca fiducia nelle istituzioni. Questo è il vero motivo. Viviamo in un quartiere pieno di paure».