Una maggiore carica virale, significa maggiore capacità di contagio. La buona notizia, però, potrebbe essere nella ridotta mortalità. Queste le conclusioni del medico di malattie infettive Paul Tambyah, consulente presso l'Università Nazionale di Singapore e presidente dell'International Society of Infectious Diseases.

 

«Le prove - spiega Tambyah - suggeriscono che la proliferazione della mutazione D614G in alcune parti del mondo ha coinciso con un calo dei tassi di mortalità, il che potrebbe implicare che il virus sia meno letale». L'esperto sostiene che la maggior parte dei virus tende a diventare meno virulenta a seguito delle numerose mutazioni.

 

«È nell'interesse del virus - continua lo scienziato - infettare più persone, ma allo stesso tempo evitare di provocare il decesso dell'ospite, dato che la sopravvivenza di quest'ultimo assicura nutrimento e riparo al parassita».


L’interrogativo ora è se con un virus più “aggressivo” i vaccini in preparazione sarebbero comunque efficaci. «Non credo che la mutazione possa alterare tanto il virus da rendere il vaccino inefficace - commenta Tambyah - le varianti sono quasi identiche e non sembrano aver modificato il modo in cui il sistema immunitario interagisce con i recettori, pertanto non credo che il processo di immunizzazione possa non essere adeguato per entrambi i ceppi».


Secondo alcuni scienziati, la mutazione del virus potrebbe renderlo addirittura più vulnerabile agli anticorpi. È quanto riferisce una ricerca dell’università della Pennsylvania, pubblicata su MedrXiv: “L’aumento di infettività ottenuto grazie a D614G avviene al costo di rendere il virus più vulnerabile agli anticorpi neutralizzanti”. D’altra parte, sino ad ora nelle persone infettate dal “nuovo” virus mutato non sembrano svilupparsi sintomi più gravi, tanto che pur aumentando i contagi, diminuiscono i ricoveri in terapia intensiva.