La cannabis light che erano autorizzati a produrre si era trasformata in sostanza stupefacente. Gli ermellini hanno chiuso la disputa dopo il ricorso della Procura generale di Catanzaro
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La seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di Giuseppe Santacroce e Antonio Santacroce, assistiti dagli avvocati Salvatore Staiano, Aldo Ferraro e Vincenzo Cicino, dal reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, dichiarando inammissibile il ricorso per Cassazione che era stato proposto dal Procuratore Generale di Catanzaro.
I due furono tratti in arresto la mattina del 2 settembre 2020 con l’accusa di coltivazione di una piantagione di marijuana. All’interno della loro azienda florovivaistica sarebbero state rivendute 5.260 piante di canapa indiana in perfetto stato vegetativo, nonché 599,34 chili di inflorescenze di marijuana già essiccata.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Vibo Valentia, con sentenza del 13 luglio 2021, ha condannato Antonio Santacroce a 7 anni di reclusione, e Giuseppe Santacroce a 6 anni, per il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, accusa per la quale gli imputati trascorsero oltre un anno e mezzo in carcere, e poi altrettanti agli arresti domiciliari.
I difensori degli imputati avevano tuttavia sin da subito contestato la possibilità di configurare il reato di coltivazione illecita di sostanze stupefacenti nei confronti di chi, come i Santacroce, avevano un’azienda autorizzata alla coltivazione della canapa sativa per usi industriali, in un settore nel quale la legge prevede espressamente che nel caso in cui i valori di principio attivo della sostanza prodotta dovessero essere superiori ad una determinata soglia, la sostanza vada distrutta senza che nessuna responsabilità possa addebitarsi al coltivatore.
Da tale previsione i difensori hanno quindi sostenuto, con il supporto di una consulenza tossicologica di Caterina Iorio, che nel caso di specie si era verificata una virata genetica delle sementi utilizzate, che ancorché rientranti tra quelle “light”, avevano subito un fenomeno di ibridazione che aveva appunto reso la sostanza prodotta da sementi lecite, marijuana con efficacia drogante. E ciò è talmente possibile che si verifichi che lo stesso legislatore aveva introdotto una ipotesi di esclusione di responsabilità per il coltivatore.
Tali deduzioni non persuasero però la Corte di Appello di Catanzaro, che il 22 novembre 2021 confermò la condanna degli imputati.
Fu invece la sesta sezione della Corte di Cassazione che, con sentenza del 21 settembre 2022, annullò quelle pronunce di condanna, restituendo gli atti alla Corte di Appello per un nuovo giudizio nel quale appunto riesaminare le deduzioni difensive, deduzioni che sono state invece integralmente accolte dalla terza sezione della Corte di Appello di Catanzaro che, con sentenza resa lo scorso 24 marzo 2023, ha assolto gli imputati “perché il fatto non sussiste”.
Tale sentenza di assoluzione è stata impugnata dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, che ha posto l’accento sulle dimensioni della coltivazione sequestrata, sul numero delle piante e del quantitativo delle inflorescenze già essiccate, pronte per la commercializzazione, ma la seconda sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza di oggi, ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale, accogliendo le conclusioni degli avvocati Staiano, Ferraro e Cicino, segnando il passaggio in giudicato della sentenza assolutoria resa nei confronti dei Santacroce, di cui è stata finalmente, e definitivamente, accertata l’assoluta estraneità rispetto al gravissimo reato di coltivazione illecita che gli veniva contestato.