Un disastro che fa scuola. Nel vero senso della parola, visto che la drammatica situazione finanziaria del Comune di Vibo Valentia viene citata come esempio emblematico di cosa “non fare” in una ricerca elaborata dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, presentato un anno fa a Roma, alla Camera dei Deputati.
Nel dossier, frutto di un’analisi sulle maggiori criticità italiane in materia di conti pubblici, si ripercorre la strada che portò alla dichiarazione del primo dissesto, nel 2013. Ed è impressionate notare come la situazione da allora sia rimasta sostanzialmente identica, tanto che un nuovo default sembra ormai dietro l’angolo.
È stato lo stesso ex sindaco Elio Costa, sfiduciato dalla sua maggioranza una settimana fa, ad aver recentemente ammesso che l’ipotesi del dissesto è concreta. E ora, con un commissario alla guida del Comune, che dunque ha un approccio squisitamente tecnico e non politico alla gestione amministrativa, è ancora più probabile che ciò si verifichi. Circostanza che renderebbe il caso vibonese più unico che raro, visto che innesterebbe un nuovo default su quello vecchio non ancora superato nonostante siano passati cinque anni.

 

A leggere la ricerca della Ca’ Foscari, a Vibo il tempo sembra essersi fermato. Già nel 2012, prima che arrivasse Costa e in piena amministrazione D’Agostino, la Corte dei Conti segnalava tutti i prodromi del dissesto incombente: alto deficit, situazione di cassa disastrosa, evasione tributaria alle stelle, debiti fuori bilancio, crediti inesigibili e poi lo spinoso capitolo dell’utilizzo improprio dei fondi vincolati.
La cura, per i giudici contabili, non poteva essere che la più drastica, cioè dichiarare “fallimento”. La politica, invece, prolungò l’agonia, facendo leva sul tentativo di varare un piano di riequilibrio, che però non andò mai in porto. «Il caso di Vibo Valentia – scrivono i ricercatori dell’università veneziana - è una tipica manifestazione dell’approccio elusivo con cui il decisore ha cercato, attraverso il ricorso alla procedura di riequilibrio, di evitare il dissesto di cui erano da molto tempo ampiamente evidenti i presupposti».
Alla fine, dopo circa un anno di tira e molla durante il quale i conti continuarono a peggiorare a causa soprattutto della «gigantesca massa passiva a cui non si riusciva a far fronte», il 21 giugno 2013, il Consiglio comunale deliberò il dissesto, con l’aumento per legge di tutte le aliquote e imposte comunali a gravare sui cittadini.

 

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la situazione, al termine dell’era Costa, non ha fatto registrare alcun miglioramento sensibile. Tutti gli ultimi bilanci sono stati chiusi in perdita, con le spese che superano di gran lunga le entrate. È accaduto nel 2016, con oltre 8 milioni di euro di disavanzo, si è replicato nel 2017, con un buco di 10 milioni di euro, e la musica non cambierà con il prossimo bilancio consuntivo, quello del 2018, che deve essere approvato entro il 30 aprile, anche se a questo punto il commissario potrebbe decidere di staccare la spina prima.

 

Durante l’amministrazione Costa, il Comune ha perseverato nel commettere gli stessi errori, incrementando i debiti per servizi e forniture che non riesce a pagare, accendendo nuovi mutui, come nel caso di quello attivato per completare il teatro. La mole di crediti difficilmente riscuotibili cresce, il patrimonio immobiliare in vendita resta sulla carta e i rendiconti continuano a essere approvati in disavanzo. Una situazione di pre-dissesto conclamato che ha molti padri, a cominciare dalla politica, che soprattutto nell’ultimo anno ha animato un teatrino grottesco, dicendo tutto e il contrario di tutto, ma mantenendo nei fatti in piedi Costa sino alla scorsa settimana. Responsabilità che pesano come macigni anche sull’apparato burocratico, che è sostanzialmente lo stesso del primo default. Oggi come allora, infatti, c’è la dirigente Adriana Teti a guidare gli uffici comunali, vero deus ex machina di un Ente incapace di invertire la rotta e di restituire alla città la speranza in un futuro diverso da quello striminzito che si annida nei segni meno in calce ai bilanci in perdita.


Enrico De Girolamo