E’ stata la volta dell’imprenditore Francesco Cascasi nel processo “Costa Pulita” che si sta svolgendo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Giulio De Gregorio, con a latere i giudici Brigida Cavasino e Marina Russo. Gli imputati sono in tutto 52, accusati di far parte o essere vicini ai clan Accorinti-Bonavita e Melluso di Briatico, Il Grande di Parghelia e Mancuso di Limbadi. Arrivato in aula con la scorta, l’imprenditore – teste dell’accusa e parte civile nel processo – ha risposto alle domande del pm della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso e poi a quelle dei difensori degli imputati. «Faccio l’imprenditore da 40 anni – ha spiegato in aula Cascasi – con ditte a Portosalvo ma attive in tutto il territorio nazionale. Sono titolare di diverse aziende e da quando ho iniziato a lavorare sono finito nel mirino della criminalità organizzata subendo incendi ed attentati. Ho sempre denunciato tutto e la mia famiglia sono stato costretto a portarla fuori regione. Ho tentato di realizzare un pontile nel porto di Vibo Marina perché c’era e c’è tuttora necessità di un approdo turistico. Ho ottenuto le autorizzazioni dalla Capitaneria di Porto ma non dal Comune di Vibo Valentia. E’ stato l’allora comandante della Capitaneria di Porto che mi ha chiamato per vedere se per il pontile riuscivo a mettermi insieme ad alcune associazioni di Vibo Marina. Ci sono state così alcune riunioni – ha ricordato Cascasi – dove la prima cosa strana è che ho qui notato la presenza di Giuseppe Lo Bianco, cognato di Nazzareno Colace, personaggio quest’ultimo che io avevo già denunciato». Si tratta di Nazzareno Colace, 55 anni, di Portosalvo, fra gli imputati del processo. «Dopo tre incontri in Capitaneria, ho accettato – ha spiegato il teste – di cedere il 50% dello specchio d’acqua nel Porto di Vibo Marina alle associazioni una volta ottenuta la concessione per la gestione del pontile ancora da realizzare». 

Le prime pressioni di Colace e Mancuso

Arrivano così a Cascasi i primi messaggi di far entrare al 50% nella costituenda società per la gestione di un pontile sia Nazzareno Colace che Pantaleone Mancuso. «Qualche giorno dopo a Vibo Marina – racconta ancora Cascasi – mi avvicina Giuseppe Lo Bianco il quale mi spiega che Colace e Pantaleone Mancuso detto Scarpuni mi mandavano a dire di non cedere il 50% della concessione alle associazioni, bensì a loro due. Io dissi a Giuseppe Lo Bianco che non potevo fare una cosa del genere perché alla Capitaneria eravamo rimasti d’accordo che avrei ceduto il 50% delle quote della costituenda società alle associazioni». Quindi un altro incontro con Giuseppe Lo Bianco pronto a ripetere la medesima richiesta e poi anche con Nazzareno Colace anche lui a ribadire che il 50% della concessione interessava a Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, pure lui imputato nel processo. «Un giorno mentre mi trovavo in ufficio, Giuseppe Lo Bianco mi disse di recarmi in un complesso vicino la mia azienda e nei pressi della Motorizzazione».

 

«Rappresentai le mie paure alla mia segretaria prima di recarmi all’incontro. Qui – ha ricordato Cascasi – oltre a Giuseppe Lo Bianco trovai Nazzareno Colace, una persona con un difetto sul labbro che non conoscevo e Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. Nazzareno Colace mi ripetè, rivolgendosi a me ma guardando Mancuso, che se non cedevo a loro il 50% delle quote del pontilela concessione non l’avrei mai ottenuta dal Comune. Così fu, nel senso che nel febbraio 2002 viene avviata la conferenza dei servizi e solo il Comune ha dato parere negativo alla proposta di concessione dell’autorizzazione per realizzare il pontile, non chiudendo la Conferenza dei servizi e lasciandola aperta con le amministrazioni dei sindaci Sammarco e Costa. Ho dovuto fare ricorso al Tar per questo. Ricorso – ha spiegato ancora Cascasi – che ho vinto nel 2004. La conferenza dei servizi è stata chiusa solo con l’amministrazione di Nicola D’Agostino, ma ad oggi non ho ottenuto alcuna concessione per realizzare il pontile e nel 2017 il Comune ha preteso la valutazione di impatto ambientale. Ho fatto ricorso al Consiglio di Stato e sono ancora in attesa. Il progetto per il pontile che volevo e vorrei realizzare prevede un costo di dieci miliardi di vecchie lire».

 

L’imprenditore Lopreiato e Michele Mancuso

 L’imprenditore Cascasi (assistito dall’avvocato Giacomo Saccomanno quale parte civile) nel suo racconto si è quindi a lungo soffermato sui “suggerimenti” che gli avrebbe dato l’imprenditore Giuseppe Lopreiato, titolare del ristorante L’Approdo di Vibo Marina. «Ancor prima che io rivelassi il ristorante e lido La Rada a Vibo Marina – ha dichiarato Cascasi – ero abituale cliente del ristorante L’Approdo di Giuseppe Lopreiato dove mi recavo quasi tutti i giorni a mangiare, a pranzo ed a cena. Giuseppe Lopreiato in tali occasioni e sino al 2011 mi suggerì di far entrare nella mia società Michele Mancuso, così a suo dire non avrei avuto alcun problema con le concessioni nel Porto. Lopreiato si offrì più volte di accompagnarmi lui stesso da Michele Cosmo Mancuso, ripetendomi che in tal modo non ci sarebbero stati problemi di concessione o di alcun tipo. Io però rifiutai ogni incontro con Michele Mancuso. Lopreiato con me faceva il diplomatico, ma in realtà era un falso amico».

Le altre concessioni al Porto

 Nello stesso periodo in cui il Comune di Vibo negava la concessione a Cascasi, l’imprenditore ha spiegato che invece tali concessioni per realizzare dei pontili sono state ottenute da altre società. «Come la società Azzurra di Colace – ha ricordato Cascasi – la Stella del Sud e altre ancora, nel medesimo specchio d’acqua dove io avevo presentato il progetto non ottenendo la concessione».

La Nostromo e la presenza di Scarpuni

Cascasi ha poi spiegato che con la società Cadi (la stessa che successivamente ha presentato il progetto per la realizzazione del pontile), per lungo tempo ha lavorato per la Nostromo, provvedendo a scaricare il tonno che veniva messo nelle celle frigorifere. «Negli anni ’90 – ha ricordato il teste – il lavoro è però diminuito sino a scomparire. Vedevo spesso alla Nostromo Colace e Mancuso Scarpuni. Ne parlai con l’amministratore dell’azienda, Renato Fuscà, il quale mi suggerì di incontrare Colace, cosa che non ho fatto». Cascasi ha inoltre riferito che Colace e Mancuso nel 2006 per fare concorrenza all’imprenditore costituirono la società Multiservice utilizzando alcuni ex collaboratori della Eurocontrol dello stesso Cascasi, azienda che oggi ha 150 dipendenti.

La Rada, gli incendi ed i Gallucci

 «E’ stato il maresciallo Umberto Froia – ha ripreso Cascasi rispondendo alle domande del pm – ad aver ottenuto la prima concessione per il lido La Rada a Vibo Marina. Era mio amico e mi propose di entrare nella società insieme ad Alessandro Gallucci, figlio di Aldo Gallucci, altro mio amico che opera all’interno della Capitaneria di porto. Alessandro Galluci è stato anche amministratore de La Rada». Si tratta dello stesso Aldo Gallucci imputato nel processo “Costa Pulita” con l’accusa di concussione aggravata dalle modalità mafiose (è difeso dall’avvocato Giuseppe Altieri). Due gli incendi subiti invece dalla Rada e ricordati da Cascasi, uno nel 2003 ed un secondo nel 2006.

Lo zio di Cascasi condannato per mafia

E’ toccato all’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, unitamente all’avvocato Francesco Sabatino, far emergere alcune circostanze relativamente ai legami familiari dell’imprenditore come quelli con i Bonavena di Pannaconi, uno dei quali condannato in via definitiva per associazione mafiosa nel processo contro i Mancuso celebrato a metà anni ‘80. «Francesco Bonavena – ha risposto Cascasi all’avvocato Aloisio – è mio zio, fratello di mia madre. So che negli anni ’80 è stato condannato per associazione mafiosa e da allora io ho preso le distanze da lui e non ho più rapporti con lui». Sempre rispondendo alle domande del legale di Pantaleone Mancuso, il teste ha poi riferito di non aver mai conosciuto né Raffaele Moscato (attuale collaboratore di giustizia), né Nicola Barba, spiegando infine di aver ricevuto in tempi recenti delle mail denigratorie in cui veniva accusato di essere un massone. «Circostanze anche queste da me denunciate – ha concluso Cascasi – e per le quali ho scritto anche alla Commissione parlamentare antimafia».

 

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