È quanto versano le compagnie petrolifere allo Stato, che gira una quota del 10 per cento alla Regione. Al territorio che ospita lo scalo marittimo restano solo brutture e disagi. La proposta di un consigliere comunale: «Chiediamo le royalty a titolo d'indennizzo»
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Vibo Marina e l’eterna questione porto sono stati al centro anche dell’ultimo consiglio comunale in cui è stato approvato il Piano strutturale. Perché - da sempre - il copione si ripete ad ogni occasione, quasi come un mantra: «Il porto è il volano di sviluppo del nostro territorio». Già, ma in che modo? Secondo qualcuno, il discorso si potrebbe intavolare a partire da quello che è l’aspetto esteticamente più brutto, ma economicamente più importante: i depositi costieri di carburante.
Accise da 240 milioni all’anno
Perché c’è un dato particolarmente esemplificativo della portata dell’indotto, ed è quello sulle accise prodotte dallo scalo portuale vibonese: ben 240 milioni di euro che ogni anno le compagnie petrolifere versano allo Stato, sotto forma di accise appunto, che poi tornano alla Regione nella misura del 10% circa, quindi 24 milioni. Di questa vagonata di denaro che ogni anno produce, indirettamente, Vibo Valentia, cosa resta qui? Zero, soltanto disagi, storture, brutture.
È partendo da queste considerazioni che il consigliere comunale di Città futura, Nino Roschetti, che nei porti ci lavora, ha aperto la discussione proponendo un emendamento alla legge finanziaria regionale, per prevedere in via straordinaria che una percentuale delle accise vada al bilancio comunale.
Un porto internazionale
D’altronde le potenzialità del porto di Vibo Marina sono indiscusse. Il decreto interministeriale 4875 del 18 marzo 1982, lo ha inserito nella categoria II, classe I dei porti nazionali: ossia di rilevanza economica internazionale. Questa classificazione, che lo rende di competenza statale, le è stata attribuita esclusivamente grazie alla presenza dei depositi costieri e quindi grazie all’importanza della movimentazione dei prodotti petroliferi sul nostro territorio. Secondo l’articolo 4 comma 3 della legge 84/94, che ha riordinato la legislazione in materia portuale, Vibo Marina è legittimato a svolgere le funzioni: commerciale e logistica; industriale e petrolifera; di servizio passeggeri, compresi i croceristi; peschereccia; turistica e da diporto.
«Ad oggi, pertanto - evidenzia Roschetti - il porto di Vibo Marina si presenta ai nostri occhi come porto “polifunzionale” in quanto, oltre ad essere un porto commerciale (grazie ai depositi), ha la più importante flotta peschereccia della Regione, un importante polo diportistico, grazie anche alla sua posizione geografica che lo rende baricentrico rispetto alle Isole Eolie, ed a mio avviso, ha tutte le potenzialità per poter svolgere un ruolo di primo piano come scalo crocieristico, sfruttando le risorse naturali del proprio territorio».
Il nodo della vocazione
Se la polifunzionalità è sancita dalle leggi, la vocazione ad oggi resta un nodo da sciogliere. È su questo che da sempre si è dibattuto. Perché mai come in questo caso si tratta di scelte politiche, di visione, di idea dello sviluppo del territorio. Questo porto deve essere turistico-ricreativo o industriale? La dicotomia nasce da questioni evidenti, a cominciare dalle risorse naturali e dagli insediamenti sul territorio, in cui convivono, non sempre di buon grado, stabilimenti balneari e petroliere.
Brutti ma... redditizi
I depositi costieri, presenti da via Vespucci fino al quartiere Pennello, quindi in pieno centro cittadino, «non solo - rimarca il consigliere comunale - non hanno mai generato introiti nelle casse comunali, ma occupando un’area a vocazione turistica di rara bellezza, hanno contribuito ad ostacolare nel corso del tempo lo sviluppo economico e sociale dell’intera area retro-portuale». Tra l’altro è ancora attuale la questione sulle curve di rischio della Meridionale Petroli, che ha gli insediamenti sul lungomare di via Vespucci, e che - se il Comitato tecnico regionale non si pronunciasse favorevolmente - potrebbe determinare l’interdizione dell’area a turisti e bagnanti.
Nelle more, resta il dilemma di fondo. Cosa si fa con i depositi, al di là dell’altrettanto annosa questione della delocalizzazione? «La loro presenza - ragiona Roschetti - potrebbe rappresentare una vera e propria opportunità di sviluppo per l’intero territorio vibonese, e ciò grazie al versamento delle accise derivanti dal commercio dei prodotti petroliferi sul nostro territorio». Si tratta di versamenti che avvengono direttamente nelle casse dello Stato, perché l’Agenzia delle entrate, nel 2014, ha eliminato i codici tributo su benzina e gasolio che andavano alle Regioni. Le Regioni, a loro volta, sono obbligate ad utilizzare tale somma esclusivamente nel capitolo di bilancio relativo al “Settore dei trasporti”. I numeri dicono che le accise prodotte per la movimentazione di prodotti petroliferi a Vibo Marina sono di «20 milioni di euro al mese versati allo Stato - spiega Roschetti -; in un anno sono 240 milioni di euro, e quindi il 10% che va alla Regione Calabria è di 24 milioni. Parliamo di cifre importanti».
Per il Comune neanche le briciole
Le domande dell’esponente di Città futura fanno male: «Le amministrazioni precedenti si sono mai attivate per tentare quantomeno di intavolare una trattativa con la Regione al fine di vederci riconosciuta (sotto forma di royalty) una percentuale anche minima sull’introito incassato? Ad esempio a titolo di indennizzo per l’inquinamento ambientale, per il disagio derivante dal rumore continuo dei camion che transitano sul territorio, e altro. Quanti soldi abbiamo perso fino ad oggi? Soldi che un Comune in dissesto come il nostro avrebbe sicuramente potuto utilizzare per dare ampio respiro a settori nevralgici, che ad oggi sono in agonia». Ecco perché un emendamento alla legge finanziaria regionale che garantisca una quota di quel 10% per il Comune di Vibo è visto come una possibile strada a quello che da molti viene considerato come un “saccheggio storico”.