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La vicenda dell’appalto della cosiddetta “Strada del mare”, una delle opere pubbliche più imponenti e travagliate della Provincia di Vibo, finito al centro dell’indagine della Procura e che ha portato, oggi, al sequestro preventivo di beni per oltre 5 milioni di euro a carico di 5 indagati (Vincenzo Restuccia, titolare dell’omonima impresa di costruzioni, Antonino Scidà, tecnico della stessa impresa, e di tre funzionari della provincia di Vibo, Giacomo Consoli, Francesco Teti e Antonio Francolino, prende le mosse dal 3 dicembre 2004.
Data in cui la stessa Provincia metteva a bando una gara d’appalto integrato per la progettazione e il completamento dei lavori dell’arteria che avrebbe dovuto collegate Pizzo a Rosarno lungo il tracciato dell’ex statale 522, fissando un quadro economico che prevedeva un importo complessivo di 21milioni e 713mila euro. All’esito della stessa, risultava aggiudicataria l’Associazione temporanea d’imprese (Ati) composta dalla Vincenzo Restuccia costruzioni Srl (capogruppo mandataria) e dalla De.Moter Spa (mandante), in virtù di un ribasso d’asta del 26,22 per cento e quindi per un importo complessivo dei lavori stabilito in 16 milioni e 305mila euro.
Riconosciuta, nell’ottobre 2005, dall’Ati capeggiata da Restuccia, l’immediata cantierabilità dell’opera, nel successivo mese di novembre veniva stipulato il contratto. Ma nel seguente mese di gennaio, la stessa impresa Restuccia sollevava al Rup della Provincia carenze nella progettazione definitiva, con specifico riguardo ai rilievi topografici e ad altri aspetti tecnici, chiedendo una proroga di 80 giorni dei termini per il deposito del progetto esecutivo. La disamina del riformulato progetto esecutivo evidenziava l’aumento dei costi dell’opera in ragione delle diverse indagini geologiche necessarie su alcuni tratti (in particolare in relazione alla prevista galleria di Joppolo).
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