«Vibo Valentia mi fa sentire disabile», commenta amareggiato Massimiliano Marchese, 38 anni, affetto da distrofia muscolare. Malattia che da qualche anno lo costringe su una sedia a rotelle. Vive a Vibo Valentia, sostenuto dall’amore fortissimo della sua compagna, Simona, e dei suoi due figli.

 

Massimiliano è un ragazzo determinato, che non si arrende e che in una città sempre tra le ultime in Italia per qualità della vita, combatte quotidianamente contro le barriere architettoniche.

 

Tra buche, percorsi accidentati, parcheggi selvaggi, ci incamminiamo verso il centro città. Ci accompagna Mimmo Corso, non vedente sin dalla nascita, amico di Massimiliano e della sua famiglia.

Giunti in piazza municipio ci troviamo davanti uno degli esempi della disattenzione della pubblica amministrazione verso le persone portatrici di disabilità: accanto al liceo artistico le strisce bianche delimitano, occupandolo, lo scivolo per disabili. E così, in modo del tutto legittimo, le auto parcheggiano, bloccando di fatto il passaggio delle carrozzine.

 

Entriamo poi nel palazzo municipale. Vorremmo raggiungere il piano superiore, dove c’è l’ufficio del sindaco e quello degli assessori, ma è impossibile.

Un dipendente comunale ci informa che l'ascensore è rotto da una settimana. E nessuno pare si sia preoccupato di riparare il guasto. Tanto ci sono le scale… Non per Massimiliano che spinge con rabbia le ruote e si affretta verso l’uscita scuro in volto.  «Noi diversamente abili al Comune di Vibo Valentia – dice - non siamo graditi».

 

È scoraggiante. Anche Mimmo è deluso. Per lui, non vedente, Vibo è una città ancor più pericolosa.

Eppure esiste il percorso tattile, che dovrebbe guidare il cammino di chi non può vedere. «Macché - ci spiega Mimmo -  è obsoleto. Era vecchio già quando lo hanno installato. È un percorso - aggiunge - che oltre a non portare da nessuna parte è pericoloso per chi lo attraversa con i tacchi. Non solo: necessita di un apposito bastone collegato con lo smartphone.  A noi ciechi non serve. Anzi, c’è pure il rischio di rompersi una gamba».

 

Usciamo da Palazzo Luigi Razza e ci incamminiamo verso il corso. Vorremmo prendere un caffè, ma anche questo semplice rituale è ostacolato dalle barriere architettoniche e dall’inciviltà di automobilisti che ostruiscono il passaggio in modo selvaggio. E all’inciviltà si unisce la disattenzione di un’amministrazione che ha messo le strisce blu davanti alla pedana della caffetteria. C'è un'auto parcheggiata, con il regolare tagliandino in bella vista sul cruscotto.  E a Massimiliano non resta che aggirare l'ostacolo e trovare una via alternativa. Ad aiutarlo c’è sempre Simona che ormai è diventata abile nelle manovre di salita e discesa dai marciapiedi.

 

Torniamo a casa. È stata una mattinata intensa. Una mattinata che ci ha permesso di toccare con mano gli ostacoli, tanti, troppi di una città che è di per sé una barriera architettonica.

 

Massimiliano ha un solo desiderio: «Essere un papà normale, un papà come tutti gli altri. Un papà che accompagna i suoi figli al parco o a scuola senza dover rinunciare perché i luoghi pubblici sono inaccessibili a chi è costretto sulla carrozzina. I miei figli non c'entrano niente con la mia disabilità. I miei figli hanno il diritto di scoprire il mondo con il loro papà».