Matteo, terzo di quattro fratelli, frequenta la quinta elementare a Vibo Valentia, la città in cui è nato. È un bambino volenteroso. «Ha tutti 10», dice orgoglioso papà Enzo. È un ragazzino vispo, come tutti quelli della sua età. Ama la scuola e adora il calcio.

Ma a maggio dello scorso anno accade qualcosa che stravolge per sempre il corso degli eventi. Matteo comincia ad accusare frequenti mal di testa. La madre decide di portarlo dal pediatra, che la tranquillizza. Ma lei insiste. Suo figlio ha qualcosa che non va. È inappetente e appare stanco. «Le analisi del sangue riportavano già valori fuori dalla norma – racconta il padre -. Ma per il medico era tutto regolare. Mia moglie era ancora preoccupata e una settimana dopo è tornata dal pediatra, che però si è limitato a prescrivere delle gocce per favorire il sonno».

I campanelli d'allarme

Siamo in pieno post lockdown. Il mondo è ancora alle prese con il Covid, ma sull’esistenza di Matteo e della sua famiglia alleggia l’ombra di un mostro molto più inquietante e spietato. La mamma continua a essere in ansia, ma confida nelle rassicurazioni del medico. Passano tre mesi. Il 7 agosto il padre, che lavora come chef in un hotel della Costa degli Dei, decide di prendersi un giorno libero e di trascorrerlo al mare con tutta la famiglia. Matteo è stanco, corre a fatica. Ha il fiatone. Quel momento di svago insieme ai suoi cari diventa l’ennesimo campanello d’allarme, che ora suona più forte.

Il raro tumore

Passa un’altra settimana e il bambino ha un malore. È lunedì 17 agosto quando Matteo viene portato al Pronto soccorso di Vibo Valentia. La Tac svela la terribile diagnosi: «Medulloblastoma», dice il medico. È un tumore rarissimo, al cervello, e in stadio avanzato. Bisogna operarlo d’urgenza. Un’ambulanza lo trasporta al Policlinico di  Catanzaro. Quella stessa notte subisce un intervento di otto ore. I sanitari riescono ad asportargli parte della massa tumorale. Si sveglia dalla terapia intensiva dopo qualche giorno. I medici sono riusciti a salvarlo, ma Matteo è diventato cieco. Il tumore ha infatti compromesso il nervo ottico. Poche settimane dopo viene trasferito al Policlinico Maggiore di Milano dove subisce un secondo intervento per l’asportazione di tutta  la massa tumorale.

«Se fosse stato diagnosticato in tempo…»

A fine settembre viene spostato all‘Istituto Nazionale Tumori di Milano per una cura sperimentale. Inizia nello stesso periodo la riabilitazione a Lecco, che gli permette di riacquistare la mobilità e l’uso della parola. Ma non vedrà più. «Resterà cieco», hanno sentenziato i medici. Troppo gravi i danni al nervo ottico. «Se solo il tumore fosse stato diagnosticato per tempo. Se solo a Vibo avessero capito prima il problema di Matteo a quest’ora potrebbe vederci». E invece, una mancata  diagnosi, quella che il padre definisce «una condotta da incapaci», ha causato danni forse irreparabili. Eppure c’erano i segnali. «Capogiri, malditesta e inappetenza: i tre sintomi della malattia c’erano tutti», dice rammaricato suo padre. 

A Boston una speranza ma servono soldi

Ma oggi quel che conta è che Matteo guarisca: «Desideriamo tornare alla nostra vita di sempre, ricongiungerci con gli altri tre figli, che non vediamo da tanti mesi. Sei per l’esattezza. Durante i quali il padre ha dovuto abbandonare il lavoro e trovare una casa a Monza per stare accanto al figlio. «La mia famiglia e tanti amici ci stanno aiutando. Ma servono molti soldi. Ma non mi arrendo, ciò che conta più di ogni altra cosa al mondo è che mio figlio guarisca. E quando sconfiggeremo questo mostro, faremo di tutto per compiere un secondo miracolo. Restituire la vista a Matteo. A Boston c’è una clinica specializzata. Potrà fare un trapianto del nervo ottico. Ho promesso a Matteo che tornerà a vedere i nostri volti, quelli dei suoi fratelli, dei suoi compagni di gioco. Gli ho promesso che tornerà a giocare a calcio», dice speranzoso papà Enzo.

Il network LaC ha avviato il crowdfunding per aiutare la famiglia dell’undicenne che lotta contro un cancro al cervello. Ecco come fare per donare