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Dall'alba fino al tramonto nei campi. È la routine giornaliera di migliaia di ragazzi africani. Giovani che vivono in tendopoli, in fabbriche o casolari abbandonati in condizioni disumane per una compenso quotidiano che oscilla dagli 8 ai 25 euro. La paga, in alternativa, può essere anche a cassetta: in genere 50 centesimi per le arance, 1 euro per i mandarini.
Le strade di Rosarno e San Ferdinando la mattina sono affollate di extracomunitari che sperano in una giornata lavorativa. Qualche fortunato viene caricato su un furgone e portato nei campi: «Le condizioni di lavoro sono durissime – racconta uno di loro. Lavoriamo quasi tutti senza contratto. E così quando non ci pagano non possiamo fare niente».
Un problema che, come spiega Nino Quaranta dell’Associazione Sos Rosarno, affonda le radici nelle grandi multinazionali che impongono il loro prezzo, 8 centesimi al chilo. E così i piccoli agricoltori si trovano costretti o a «lasciare i frutti sugli alberi o sfruttare chi è più debole di loro, cioè gli immigrati».
Sei anni dopo gli scontri fra immigrati e residenti, la situazione è immutata e l’integrazione tanto auspicata una chimera.
«Ogni anno a dicembre è la stessa storia. C’è qualcuno - spiega don Roberto Meduri, il parroco di Bosco, cittadina a pochi chilometri da Rosarno - che con la violenza cerca di provocare questi ragazzi, per motivi politici e strumentali. Nelle ultime settimane - continua - sono stati aggrediti sei ragazzi per strada. Erano già pronte le barricate, come sei anni fa. Per fortuna stavolta siamo riusciti a far prevalere il buon senso». È don Roberto tutti i giorni con suo furgoncino a portare cibo e latte al campo, segue le pratiche per i permessi di soggiorno, indispensabili per chi cerca un lavoro regolare.
La situazione reale è allarmante. Un ghetto costituito dalle tende blu della protezione civile formano il reticolo di un villaggio circondato da rifiuti. Si cucina e ci si lava per strada. Solo tre o quattro container ospitano i servizi igienici per oltre mille persone.
Ma qui gli immigrati sono riusciti a creare un mondo: c’è il ciclista, che prepara e ripara le biciclette, c’è il salone del barbiere, c’è il macellaio. Qui si prega: cinque volte al giorno il muezzin richiama i fedeli alla moschea, costruita con un telo sostenuto da quattro pali in legno.
Un mondo in miniatura. Un mondo isolato e dimenticato, abitato da persone prima che migranti, da esseri umani prima lavoratori che non chiedono la luna ma solo “diritti e libertà”.
Manuela Serra