Ci sono nuvole basse e cariche di pioggia a coprire l’ennesima ferita inferta dal fuoco al cuore più antico d’Aspromonte. Nuvole e nebbia che a tratti nascondono il tappeto nero lasciato dalle fiamme, che per due giorni hanno colpito querce, roveri, pini e felci, attaccando il costone che dal santuario di Polsi risale la montagna lungo “la via dei riggitani”. Ci sono volute numerose squadre di Calabria Verde e dei vigili del fuoco (e l’utilizzo di tre mezzi aerei) per domare le fiamme, quasi certamente appiccate dalla mano dell’uomo in almeno tre punti diversi, poco distanti l’uno dall’altro, e con una tempistica che lascia pochi dubbi.

La piaga degli incendi boschivi

Il giorno dopo il rogo (il terzo sviluppatosi all’interno dei 67 mila ettari del parco nazionale nell’estate del 2024, con buona pace dei droni e dei risultati sbandierati dal governo regionale), proprio grazie alla pioggia caduta abbondante, che ha inumidito il terreno e evitato nuovi focolai, la situazione è tornata alla normalità. All’interno del santuario mariano la messa delle 10 è piena come un uovo e le bancarelle del mercato – escluse quest’anno dal piazzale del santuario in occasione della festa della Madonna della Montagna per le numerose anomalie amministrative riscontrate – hanno trovato posto qualche tornante più in là rispetto alla piccola chiesa. Proprio come se non fosse successo niente. Quasi come se gli incendi boschivi (che proprio nel medesimo punto hanno colpito quasi ogni anno dal 2019 in avanti) fossero ormai una sorta di specialità della casa. Eppure, poche decine di metri a monte, sulla ripidissima via su cui, prima del progressivo abbandono, passava una parte del sentiero “Italia” (uno dei più importanti tra quelli compresi nei confini del parco), il verde rigoglioso dell’Aspromonte orientale, nel territorio di San Luca, ha lasciato il posto a macchie nere con diversi tronconi informi, indeboliti dalle fiamme e rimasti come sospesi e sul punto di venire giù. Sono quasi 50 gli ettari (tra area A e area B, quelle cioè soggette a maggiori restrizioni a tutela della biodiversità del parco) interessati dalle fiamme.

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Demetra, la quercia più antica del pianeta

Un tappeto nero che dalla fiumara risale la montagna fino a oltre 1000 metri di quota e che, nel suo cammino radente, ha distrutto querce e pini larici, divorando il sottobosco e rendendo ancora più fragile il già precario equilibrio idrogeologico della montagna. Un fuoco criminale fermato non troppo lontano dalle foreste vetuste, in una zona impervia e quasi irraggiungibile, dove risiede “Demetra”, considerata la quercia più antica del pianeta con i suoi quasi mille anni di vita. Le fiamme hanno sfiorato la frana di “San Francesco” e, scavalcandola, hanno reso di nuovo visibili le vecchie serpentine del sentiero, da tempo divenuto una via adatta solo alle capre.

Quello di Polsi è solo l’ultimo, in ordine di tempo, degli incendi che si sono abbattuti sull’Aspromonte negli ultimi anni. E se dopo il disastro del 2021 – quasi 7 mila ettari di parco nazionale distrutti dal fuoco, che nel suo avanzare ha cancellato anche il bosco di Acatti, uno dei più antichi dell’area mediterranea – si era detto «mai più», purtroppo alle parole è seguito poco altro. Anche a causa della sostanziale immobilità del Parco nazionale, da mesi privo della figura del direttore, andato in pensione e non ancora sostituito, e guidato da un commissario (la cui delega è stata da poco rinnovata per altri sei mesi dopo la defenestrazione, a febbraio, di Leo Autelitano per opera del ministero dell’Ambiente) con in tasca un curriculum da manager della sanità reggina.

Sentieri naturalistici cancellati dai roghi

Risalendo la montagna da San Luca, attraverso la valle “delle grandi pietre”, su fino ai quasi 2000 metri di Montalto e poi giù verso la valle che ospita il santuario mariano, le foreste (pini antichi e figli del rimboschimento degli anni ‘50, querce, faggi, roveri) portano i segni delle devastazioni del passato che si intrecciano a quelle più recenti. Negli anni, il fuoco (e la quasi assenza di manutenzione) non ha solo distrutto porzioni di boschi antichissimi, ma ha cancellato anche parte dei quasi 400 chilometri di sentieri naturalistici presenti all’interno dell’area protetta, e ha reso inutilizzabili buona parte delle vecchie stradelle utilizzate dagli operai della forestale, che oltre ad agire come linee tagliafuoco, consentivano alle squadre di intervento di raggiungere anche i punti più remoti di una montagna su cui muoversi è sempre stato piuttosto complicato. Uno stato di abbandono dettato anche dal progressivo spopolamento dei 37 paesi che rientrano nei confini del parco nazionale e dallo scarso numero di operai che tutti i giorni dovrebbero prendersi cura di una delle meraviglie naturali della regione. E che ha lasciato campo libero ai criminali.