Una macchina capace di macinare diplomi falsi e una montagna di soldi. Ci sono tre livelli nell’inchiesta Zero titoli della Procura di Trani. Il primo è popolato da studenti “pescati” sui social o con il passaparola: vengono convinti a iscriversi ai corsi imbastiti per ottenere titoli da spendere nelle graduatorie per l’insegnamento. Pagano, ricevono la loro pergamena e vengono respinti dopo le verifiche del ministero o licenziati dalle scuole in cui prestano servizio.

Il secondo livello è quello delle società costituite dal gruppo che ha basi in Puglia e Calabria e sedi periferiche in tutta Italia ma soprattutto al Sud. Le aziende incassano migliaia di euro per ciascun cliente.

Il terzo livello è quello che serve a redistribuire il denaro e, secondo l’accusa, a renderlo irraggiungibile per gli investigatori costretti a una caccia al tesoro in aree nelle quali avviare una società con spese molto basse (e meno controlli) è più semplice che in Italia. In alcuni casi senza badare troppo a nascondersi: una delle compagini sociali riconducibili – secondo l’accusa – alle indagate Mary e Fortunata Giada Modaffari ha sede negli Emirati Arabi si chiama Al Mudaffar.

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Quello ricostruito dai militari della Guardia di finanza è un «meccanismo criminale» che, secondo il gip, avrebbe consentito agli indagati «di accumulare illecitamente ingenti risorse economiche attraverso l’incasso delle “rette” pagate dai discenti vittime del complesso raggiro». Le somme di denaro, poi, sarebbero state «convogliate in meccanismi articolati finalizzati a impedire l’immediata ricostruzione delle sorti dei proventi illeciti, in parte reimpiegati in ulteriori attività delittuose dello stesso tipo, in parte utilizzati per l’acquisto di beni poi intestati a soggetti giuridici differenti, riconducibili ai medesimi indagati».

Falsi diplomi, sorelle Modaffari accusate di autoriciclaggio

Nel troncone calabrese dell’inchiesta sono coinvolte le sorelle Modaffari. Le due sarebbero figure chiave nel sistema dei finti diplomi ma vengono accusate anche di autoriciclaggio. Gli inquirenti cerchiano in rosso «il trasferimento di un notevole compendio immobiliare nella sfera giuridica di una società con sede a Londra». Accade nel gennaio 2021, quando Fortunata Giada Modaffari, “director” della Ethodos Ltd, società di diritto inglese con sede a Londra, avrebbe effettuato l’acquisto, per 790mila euro, «di tutti i beni immobili della famiglia Modaffari esistenti sul territorio italiano» proprio in favore della Ethodos. Si tratta di immobili distribuiti tra Bagnara (uno), Condofuri (sedici), San Lorenzo (uno) e Roma (due appartamenti).

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L’ipotesi degli inquirenti è che «gli indagati avrebbero dapprima costituito una società di capitali all’estero facendola divenire, poi, proprietaria di tutti gli immobili posseduti in Italia utilizzando i proventi derivanti dalla vendita dei falsi titoli». Negli atti di compravendita, inoltre, «sono menzionate le modalità di pagamento utilizzate dalle parti, consistenti in bonifici disposti dalle stesse sorelle Modaffari da rapporti bancari radicati all’estero e più specificamente dalla banca Trustcom Financial di diritto lituano».

Non è l’unico passaggio che i magistrati pugliesi considerano sospetto. «Le indagate – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – hanno ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro se si aggiunge anche la circostanza che le quote della Ethodos Ltd sono possedute interamente dalla Al Mudaffar Project Fzco, ulteriore società estera degli Emirati Arabi riconducibile alle stesse Modaffari». Per il gip si tratterebbe di un «complesso sistema di partecipazioni societarie» utilizzato dalle indagate per «spogliarsi solo formalmente dei beni da loro posseduti – e dei quali continuano a fruire – formalmente nel circuito imprenditoriale attraverso lo schermo dei soggetti societari interamente posseduti».

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«Lasciala buttare sangue... prima deve pagare»

Mentre i clienti venivano “spogliati” di migliaia di euro in quella che la Guardia di finanza considera una truffa, le sorelle Modaffari si sarebbero arricchite. Le intercettazioni riportate agli atti mostrano, in effetti, un interesse non secondario per il denaro: «No, lasciala buttare sangue... scusa se parlo così ma la cosa importante è un’altra... che lei prima che parte il plico deve pagare», dice Mary Modaffari, intercettata. Così una delle vittime «effettuerà in più soluzioni tramite bonifici bancari a favore della società “Cs Consulting Group srl” il richiesto pagamento della somma complessiva di € 12.198, 00 e a favore della “Unimorfe International University” la somma di la somma di € 2.500,00». Peccato che a fronte di questo esborso verranno rilasciati più titoli universitari non riconosciuti dal Miur».

I viaggi di lusso negli Usa e negli Emirati Arabi Uniti

D’altra parte – sono sempre considerazioni del giudice per le indagini preliminari – Fortunata Giada Modaffari «avrebbe mostrato di condurre un tenore di vita altissimo rispetto alle sue capacità reddituali lecite». Dalle intercettazioni telefoniche sarebbe emerso «che la donna, titolare della carta platino di American Express, ha prenotato diversi soggiorni negli Stati Uniti d’America e negli Emirati Arabi Uniti del valore di oltre 10mila euro ciascuno». Non è tutto: «Quanto emerso dalle intercettazioni ha trovato riscontro anche negli accertamenti bancari eseguiti dalla polizia giudiziaria da cui si evince che Modaffari nel solo 2021 ha sostenuto spese esclusivamente di natura personale per complessivi 209.225 euro a fronte di un reddito lordo da lavoro autonomo dichiarato pari a 18mila euro».