Il professore che favorisce il suo allievo per un concorso universitario e gli passa le domande. Il comandante dei vigili che affida il servizio di autovelox a suo cognato. Il direttore di una Asl che demansiona un primario solo perché gli sta antipatico. L’assessore che assume con un contrattino la moglie del “suo” sindaco.

Sono soltanto alcune delle situazioni che in passato avevano determinato processi e sentenze per il reato di abuso d’ufficio. Adesso, invece, restano penalmente «scoperte» dopo che il Parlamento — il 25 agosto scorso — ha abrogato l’articolo 323 del codice penale.

Qualcuno – anche un consigliere regionale di centrodestra come Antonello Talerico – lo ha già detto: «Con l’abrogazione del reato non sarà possibile sanzionare neanche coloro che favoriranno o raccomanderanno a un concorso pubblico un amico o un parente». E neanche chi favorirà un conoscente per una visita medica, magari scavalcando liste d’attesa che, per i comuni mortali senza una spintarella, sono interminabili.

205 anni di storia (e interventi per ridimensionare il reato)

E dire che il campo di applicazione della norma era già stato (molto) ristretto nel corso degli anni. I cenni storici sono stati riepilogati sul Corriere della Sera in Dataroom, rubrica settimanale di Milena Gabanelli. Era ininterrottamente da 205 anni (Regno delle due Sicilie) che esisteva una norma di difesa del privato cittadino dalle possibili prevaricazioni dell’autorità pubblica. Di modifica in modifica il reato è stato prima anestetizzato e poi abolito. Nel 1990 erano ancora possibili arresti e intercettazioni (e le pene andavano da 2 a 5 anni); nel 1997 pene da 6 mesi a 3 anni, niente arresti né intercettazioni; nel 2012 nuovo ritocco alle pene, da 1 a 4 anni; nel 2020 si elimina la discrezionalità mentre resta il conflitto d’interessi (l’ipotesi in cui un pubblico ufficiale partecipi alla commissione di un concorso pubblico per aiutare un parente); dal 25 agosto scorso, con l’abrogazione del reato quel paracadute a difesa dei cittadini sparisce.

Un lasciapassare per i raccomandati

Argomenti a favore dell’abrogazione? In tutti i talk la risposta è stata la stessa: i numeri. Dataroom si propone di analizzarli. L’80% delle denunce venivano archiviate e nel 2021, su 5.418 fascicoli iscritti, le condanne e i patteggiamenti sono stati 62. È vero, ma è vero anche che il reato è stato molto depotenziato nel corso degli anni. E l’80% non è così straordinariamente superiore alla media di archiviazioni degli altri reati, che si attesta al 62%. «E comunque – è il commento – così tanto evanescente non doveva essere l’abuso d’ufficio, se in 23 anni ci sono state più di 3.600 condanne».

Per i concorsi universitari cambia tutto: prima venivano perseguiti o con il reato di turbativa d’asta o con l’abuso d'ufficio ma l’anno scorso la Cassazione ha stabilito che la turbativa non può valere per le assunzioni di personale nella pubblica amministrazione attraverso i concorsi pubblici e in particolare quelli universitari, per i quali invece va applicato il reato di abuso d’ufficio. Che però ora è stato abolito. In pratica se non c’è un falso in atto pubblico o corruzione in denaro, tutti i professori che vogliono agevolare il loro allievo, parente o figlio di amici la faranno franca.

E sarà lo stesso per il dirigente comunale che presiede la commissione di concorso che ha dichiarato vincitrice sua nipote. O per il sindaco che ha sciolto il Consiglio comunale per impedire di votare la costituzione di parte civile del Comune in un processo a suo carico.

Le 3.600 condanne cancellate in attesa dell’Ue

Già sei Tribunali in giro per l’Italia nelle scorse settimane hanno sollevato davanti alla Consulta il possibile contrasto della legge che ha abrogato l’abuso d’ufficio con l’articolo 117 della Costituzione per la possibile violazione degli obblighi derivanti dal diritto internazionale della Convenzione Onu di Merida, e con l’articolo 97 sui principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. E poi c’è da considerare la proposta di direttiva del Parlamento Europeo del 3 maggio 2023 che all’articolo 11 prevede, tra l’altro, che gli Stati membri «prendono le misure necessarie affinché sia punibile come reato l’intenzionale esecuzione o omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo». In caso di approvazione, l’Italia sarebbe costretta a reintrodurre l’abuso d’ufficio. Intanto gli oltre 3.600 condannati per abuso d’ufficio dal 1997 al 2020, hanno diritto di ottenere dal giudice dell’esecuzione la cancellazione dal casellario giudiziario e tornare «immacolati». Un bel colpo di spugna.