L'esame del collaboratore di giustizia Silvio Gioia, sentito nel processo Reset, è stato breve rispetto agli altri suoi "colleghi", ma ricco di spunti, sia per la Dda di Catanzaro che per le difese. Se da un lato il pubblico ministero Corrado Cubellotti si è soffermato sulla conoscenza con Mario "Renato" Piromallo e le agenzie di scommesse, dall'altro gli avvocati difensori hanno fatto emergere come in realtà il collaboratore, su alcune circostanze, ha riferito fatti di cui non avrebbe parlato nel periodo dei 180 giorni. Ma avrebbe aggiunto elementi di novità nell'interrogatorio del 1 luglio 2019, quando gli investigatori antimafia lo avevano risentito per approfondire diversi temi.

Il gruppo Perna

Silvio Gioia, conosciuto in passato negli ambienti calcistici per la sua passione per il Cosenza calcio, ha dichiarato di aver "saltato il fosso", in quanto avrebbe avuto «problemi economici con il gruppo Perna che derivavano dalla droga. Il gruppo di cui facevo parte era capeggiato da Marco, almeno dal 2010 al 2013. All'interno dell'organizzazione mi occupavo di prendere la droga e smistarla ai pusher. I quantitativi mi venivano consegnati da Marco Perna e dagli altri ragazzi che erano nel gruppo, ovvero da Andrea Minieri, Alfonsino Falbo, Luca Pellicori, Giuseppe De Stefanis e altri».

Nessuna affiliazione

«Non sono mai stato affiliato, perché il gruppo Perna non conferiva doti di 'ndrangheta. All'epoca si muoveva in autonomia, ma a Cosenza c'erano anche gli "zingari" e gli italiani. Negli italiani c'erano Mario Piromallo, Roberto Porcaro, Daniele Lamanna, Carlo Lamanna, Francesco Patitucci, dall'altra parte Maurizio Rango, Ettore Sottile e Adolfo Foggetti», ha aggiunto Silvio Gioia.

«Il periodo di riferimento era 2010-2013, quando i rapporti erano sereni. Perna, come ho detto, gestiva in autonomia i suoi affari illeciti per sostenere le spese del padre che era in carcere. Fino a quando non ho collaborato, sapevo che c'era una "bacinella" unica per evitare problemi. Tutti i proventi erano destinati lì e venivano divisi. Parlo di proventi provenienti dalla droga, dalle estorsioni e dalle rapine», ha sottolineato Silvio Gioia.

Chi comanda a Cosenza (secondo Silvio Gioia)

«Piromallo era ai domiciliari e dirigeva il gruppo. In molte occasioni ho visto le mogli degli altri andare a casa sua, così come Rinaldo Gentile. Parlo del 2010-2013. Porcaro era vicino al clan Lanzino, lo vedevo spesso andare a casa di Piromallo, dava quantitativi di droga alle persone che "lavoravano" per lui. Con Porcaro abbiamo fatto le scuole insieme, lo conosco da quando eravamo ragazzini. In ambito criminale non abbiamo commesso reati insieme», ha spiegato il pentito cosentino.

«Il capo degli italiani era Ettore Lanzino, Patitucci era il suo vice e comandava su Cosenza. Tra l'altro era sempre insieme con Porcaro. Queste cose le apprendevo da persone vicine a loro, tipo Antonio Abbruzzese figlio di "Banana", fratello di Luigi, Nicola e Marco», ha detto in aula.

Marco Perna rispettato per via del padre Franco

«Prendendo la droga dal gruppo Perna nessuno poteva dirmi nulla. L'autonomia era data per rispetto al papà Franco. Il ricavato dello stupefacente me lo tenevo per me, pagando quello che dovevo a Marco Perna. Poi, dopo la morte di Luca Bruni, si sono messi tutti insieme. Luca voleva la vendetta del padre. Fino al 2013 noi del gruppo Perna eravamo fuori dall'accordo e smentisco che Perna sia andato davanti a Rango per parlare di queste cose, non è mai andato», ha sostenuto il collaboratore.

No al "sottobanco"

«La droga si poteva prendere solo dai gruppi, non poteva essere presa "sottobanco". Se io prendevo la droga fuori provincia non mi sarebbe stato permesso ma dagli italiani e dagli "zingari" potevo acquistarla. Basti vedere cosa hanno fatto a Meduri. Gli "zingari" inoltre prendevano l'eroina da Cassano», ha chiarito.

Capitolo agenzie di scommesse

Secondo quanto dichiarato da Silvio Gioia, le agenzie di scommesse a Cosenza e dintorni sarebbero state gestite da «Mario "Renato" Piromallo e Daniele Chiaradia ma i siti .com non erano autorizzati dall'Aams. Francesco De Cicco aveva il compito di aprire le agenzie di scommesse in tutto il territorio. Chiaradia gestiva tutto, in quanto aveva i siti di riferimento a Malta. Io ad esempio, per aprire l'agenzia mi sono rivolto a Francesco De Cicco, non ero interessato alle slot machine e infatti non le ho messe», anche se in seguito ha ricordato di averle inserite nel circolo ricreativo che gestiva.

«Conosco Andrea Reda ma solo di nome, non so se avesse rapporti con Piromallo. Carlo Drago so che è parente con i Reda. Per sentito dire dal gruppo Perna, so che faceva usura ed era vicino agli italiani». Silvio Gioia tornando al caso dei siti .com, ha aggiunto che in questo modo «si riciclava il denaro ma non so cosa facesse Piromallo con i soldi guadagnati da questo tipo di attività».

I rapporti tra Piromallo e De Cicco

«Piromallo e De Cicco si conoscono bene, in quegli anni il Popily Street andava forte in quanto tanta gente andava a giocare lì. Quindi hanno puntato su di lui. Il guadagno era del 45% sull'utile. L'agenzia di scommesse funziona così: se in un mese fa 10mila euro di giocate e nessuno vince il titolare si prende il 45%, se rimangono invece 5mila euro prende lo stesso il 45% di quella somma restante. So che Reda e Gervasi avevano rapporti tra di loro», aggiungendo, su domanda del pm, di conoscere «Silvio Orlando, il poliziotto che gestiva l'Eurobet».

Sempre Gioia nel verbale riassuntivo aveva dichiarato di aver visto Patitucci parlare con uno dei Reda in un lido di San Lucido, ma non ricorda il nome. «Alessandro Cariati lo conosco, è il cugino di un mio amico, avevamo entrambi un'agenzia di scommesse. Automaticamente avevano rapporti con De Cicco, Piromallo e Chiaradia». E ancora: «Non ricordo di conoscere Alberico Granata, ma facendo mente locale posso dire che gestiva agenzie di scommesse». Su Mario Gervasi ha spiegato: «Non so se avesse altri rapporti con esponenti della criminalità». Infine, dopo aver detto di conoscere alcuni imputati di Reset, l'esame si è concluso sostanzialmente su Salvatore Ariello: «Frequentavamo lo stesso circolo ricreativo. Era vicino al gruppo degli italiani, la moglie andava spesso a casa di Piromallo». 
Leggi il controesame su CosenzaChannel.it.