È diventata definitiva la sentenza di condanna nei confronti dei membri della famiglia Cacciola di Rosarno accusati, in concorso, dei reati di sequestro di persona e maltrattamenti in famiglia, con l’aggravante del metodo mafioso, in relazione a fatti commessi tra il 2005 ed il 2006 a Rosarno in danno della testimone di giustizia Giuseppina Multari. In virtù del pronunciamento della Suprema Corte, tornano in carcere, Maria Cacciola, condannata in via definitiva 6 anni, Jessica Oppedisano, 4 anni, e Teresa D’Agostino, 6 anni, mentre gli altri imputati erano già in prigione. Si tratta di Gregorio Cacciola, 6 anni, e Vincenzo Cacciola per il quale è la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna a 6 anni inferti in secondo grado. La sua posizione dovrà essere riaffrontata davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

 

I provvedimenti a carico delle tre donne, le prime due cognate e la terza suocera della testimone, giungono all’esito dell’iter processuale instauratosi a seguito delle indagini, avviate nel mese di ottobre 2006, dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, e confluite nell’operazione di polizia denominata “Muaser” che aveva permesso di intercettare e disarticolare un’associazione criminale finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti da parte di esponenti della famiglia Cacciola di Rosarno e di accertare plurime condotte vessatorie commesse ai danni di Giuseppina Multari da parte dei familiari di suo marito, il defunto Antonio Cacciola.

In particolare, le attività investigative avevano consentito, tra l’altro, di far luce su un contesto familiare di violenze nell’ambito del quale le odierne arrestate, in concorso tra loro, nel periodo compreso tra il 30 novembre 2005 – data del suicidio di Antonio Cacciola, ed il mese di ottobre 2006, con violenza e ripetute minacce, avevano compiuto atti di maltrattamenti nei confronti della Multari attribuendole la responsabilità del suicidio del marito, sottoponendola ad una serie di vessazioni morali, impedendole di uscire liberamente da casa senza la loro presenza e di esercitare poteri gestori sui figli minori, il tutto con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi del metodo mafioso. Le arrestate sono state rinchiuse nella Casa Circondariale “Panzera” di Reggio Calabria.