VIDEO | Parla Domenico Calabrò, il primario che risultava presente in commissione mentre era da tutt'altra parte. Per lui «il caso non c'è», anche se l'azienda ha definito «irregolare la procedura»
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Per l’Asp di Reggio Calabria quella «procedura è irregolare», ma non fino al punto di prevedere denunce o censure per il personale che l’ha adottata. È quanto conferma il primario Domenico Calabrò, che in un verbale risultava presente in una riunione - a cui invece non aveva partecipato – e che, a proposito della scoperta che avevamo fatto nei giorni scorsi sulle irregolarità della commissione per la valutazione del personale da assumere nell'ospedale Covid di Gioia Tauro, si precipita a dire: «Non c’è alcun caso, l’Asp ha aggiustato le cose».
A modo suo, ovvero limitandosi a varare una seconda delibera in cui revoca la prima deliberazione – quella che conteneva il verbale mendace –, sostituendo il componente fantasma e chiedendo una nuova valutazione dei curriculum del personale da assumere. «Ma perché ci dovevano essere censure?», si chiede retoricamente Calabrò, sminuendo il caso - «ci siamo sentiti al telefono e tutto è stato messo a posto». Insomma, si può risultare presenti e assenti invariabilmente nell’Asp guidata da una terna commissariale dopo lo scioglimento per mafia.
Nessun cartellino rosso, e neanche giallo – nessuna denuncia – sebbene l’Asp sia consapevole di aver messo in moto una procedura d’urgenza talmente lacunosa, che ha dovuto fornire successivi chiarimenti scritti per spiegare come e perché sono stati assunti i professionisti indicati dalla commissione riunitasi, la prima volta, in «maniera irregolare».
L’azienda si è limitata a sostituire il medico dei polmoni Calabrò con il neurologo Luigi Giugno «ma – si schermisce ancora il primario – il cambio è avvenuto per via delle mie dimissioni, per motivi di lavoro e perché mi sono accorto che l’impegno era gravoso, non certo per lo spiacevole inconveniente».
Calabrò rimane in buoni rapporti con l’Asp, come del resto aveva scritto nella lettera che aveva costretto l’azienda a tornare sui propri passi, quando il primario dichiarava che «il 16 novembre poteva partecipare alla riunione», e non il 13 ovvero il giorno in cui i colleghi lo dichiararono presente.