10 aprile 1991. È la data di una tragedia. 140 sono le persone che persero la vita sul traghetto della Moby Prince che appena partito per Olbia finì contro la petroliera Agip Abruzzo sfondandone il serbatoio a poche miglia dalla costa livornese. L'impatto fu violentissimo, il traghetto si trasformò in un inferno di fuoco. Solo una persona si salvò, il mozzo napoletano Alessio Bertrand. Tutti gli altri persero la vita, 65 membri dell'equipaggio e 74 passeggeri. È la più grande tragedia della marina civile italiana. Tra le vittime c'erano anche sei cittadini della provincia vibonese, quattro originari di Pizzo, Rocco Averta, Antonio Avolio, Francesco Antonio Esposito e Giulio Timpano, e due di Parghelia, Francesco Tumeo e Francesco Mazzitelli.


Inizia un lungo e travagliato processo alla ricerca della verità. Tante le ipotesi che negli anni si rincorrono: la nebbia, la distrazioni di chi era al Comando, la partita della Juve. Inchieste aperte e archiviate.
Poi un laborioso lavoro della Commissione parlamentare di inchiesta durato oltre due anni e una relazione resa pubblica il 24 gennaio 2018 ribalta completamente le verità processuali cancellando di fatto le due indagini precedenti condotte del 1991 e nel 2006. Le inchieste sono state superficiali, si prospetta una riapertura del fascicolo giudiziario.


Due, in particolare, i fatti che potrebbero essere reinterpretati: la disattenzione dell’equipaggio della Moby Prince che sarebbe stata causata proprio dalla nebbia che invece pare non ci fosse. La nebbia non fu la causa del disastro, fu piuttosto un alibi.

Il secondo punto ad essere messo in discussione è la durata dell’incendio, che secondo quanto appurato dalla Commissione in seguito all’audizione di circa 72 testimoni, avrebbe consumato la nave per ore e non in soli 20 minuti, come hanno concluso invece le due sentenze che nel corso degli anni hanno chiuso il caso senza colpevoli. Sui corpi delle vittime non fu mai fatta alcuna indagine per definire le cause della morte, ci si limitò solo al riconoscimento. E poi ancora l'inchiesta fu condotta dalla stessa Capitaneria che era intervenuta nei soccorsi, gli errori della Procura, le indagini sull'armatore sbagliato, il dissequestro troppo veloce della Agip Abruzzo e la mancanza di perizie. Tutti atti acquisiti dalla Procura di Livorno che ha riaperto le indagini.


Oggi, a 28 anni di distanza, l’Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince Onlus, con il supporto dello Studio Legale Bernardo e Taddia di Livorno, annuncerà l’intenzione di avviare un’azione civile «nei confronti del Ministeri competenti e della Presidenza del Consiglio dei Ministri». Lo dichiara Luchino Chessa, presidente dell’Associazione: «Lo faremo per chiedere di accertare le eventuali responsabilità dello Stato».