«Ho dormito nei camper, nelle tende, sui treni. Ho dormito anche negli alberghi a cinque stelle. Poi mi sono trovato a dormire nel letto della cella 16 della sezione Apollo».

Giuseppe Scopelliti è tornato libero nel dicembre del 2021 e ha parlato per la prima volta a Roma, dove mercoledì 8 febbraio ha presentato il libro Io sono libero, il racconto della sua storia politica e della sua vicenda giudiziaria.

Un libro-intervista scritto con il giornalista Franco Attanasio nel carcere di Arghillà, dove l’ex presidente della Regione è entrato nell’aprile del 2018, dopo una condanna in Cassazione a quattro anni e sette mesi per falso in atto pubblico, per fatti risalenti agli anni dal 2007 al 2010, quando era sindaco di Reggio Calabria.

«Penso a quando mia figlia Greta a 12 anni ha avuto la scorta per tre anni. Da una parte c’era lo Stato che ti tutelava, garantiva e difendeva. Dall’altra lo Stato che ti aggrediva», ha detto Scopelliti. «Ero un uomo incensurato, al quale si potevano concedere le attenuanti, tutte quelle condizioni che si devono dare a chi non ha un curriculum criminale. Ma questo Stato non è né giusto, né forte, né libero. È stata la battaglia più difficile e cruda. Ho vinto tante battaglie nella mia vita, questa l’ho persa, eppure lì mi sono trovato in pace con me stesso. L’ho fatto con serenità, partecipando a tutte le attività, perché né il corpo né la mente potevano fermarsi».

Un tempo personaggio centrale della politica calabrese, l’enfant prodige della destra sociale, lontano dai riflettori ormai da più di quattro anni, racconta i processi e la detenzione, il sostegno di chi non lo ha abbandonato e la delusione per chi si è defilato, «perché quando un politico cade in disgrazia c’è sempre il fuggi fuggi. E c’è stato anche per me».

Con lui c’erano la moglie, la figlia maggiore e il fratello Tino, che non smette di piangere per gran parte della presentazione. C’era l’ex segretario di An Gianfranco Fini, che è rimasto accanto al suo delfino anche nel momento peggiore e ha messo la firma sul suo sostegno a Scopelliti scrivendo la prefazione del libro. Nella sala gremita c’erano politici calabresi, i senatori Tilde Minasi e Fausto Orsomarso e la ex Cinque stelle Dalila Nesci e nomi come Lorenzo Cesa, Maurizio Landolfi e l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno.

«Perché ho scritto la prefazione a questo libro? - dice Gianfranco Fini - Perché a Giuseppe voglio bene. Perché la sua è stata una dimostrazione di coraggio e dignità. Ha affrontato a testa alta la prova più difficile della sua vita e a testa alta può girare a Reggio Calabria. Pochi uomini cadono dalle stelle alla polvere e continuano ad essere ricordati e amati». E va, Fini, al processo e alla condanna di Scopelliti: «Ha scontato con dignità una pena pesante e profondamente ingiusta». E precisa: «Ingiusta nel senso che era sproporzionata rispetto all’ipotesi di reato, ma non ho letto le carte processuali, non è questo il momento».

A raccontare la vicenda dell’ex presidente della Regione c’erano il direttore del Riformista Piero Sansonetti, che ha parlato di violenza dello Stato ed errore giudiziario, la giornalista Anna La Rosa e Francesco Verderami.

«Per la mia esperienza i ritorni non sono mai forieri di buoni risultati», ha commentato l’editorialista del Corriere della Sera la possibilità che l’ex presidente della Regione rientri sulla scena politica. «Credo che Scopelliti abbia compreso che un suo ritorno in politica sarebbe complicato».

E Scopelliti sembra avere questo concetto molto chiaro. «Non ho alcun interesse a ritornare sulla scena politica. Ho fatto la mia esperienza. Ho pagato. Ora voglio dare il mio contributo per spiegare come devono muoversi gli amministratori locali, quali sono i rischi - ha detto -. Quest’esperienza ha tradito i miei sogni, la concezione che avevo dello Stato. Ma ora voglio metterla da parte e andare avanti, coltivare i sogni lontano dalla politica».

L'intervista a Giuseppe Scopelliti

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