Una fuga per la vita. Potrebbe sembrare il titolo di un film, ma è la terribile realtà che ha vissuto per giorni un nostro corregionale in Ucraina, costretto a mettersi in auto con moglie e figlio per lasciare il Paese in guerra. Alla fine, però, Giuseppe – come lo abbiamo chiamato per garantirne l’incolumità - ce l'ha fatta: dopo centinaia di chilometri, tre giorni in fila a ridosso del confine e colonne d’auto di decine di chilometri, questa notte, intorno alle 4, è riuscito finalmente a varcare la frontiera con la Moldavia e a lasciare la terra che l'ha ospitato per anni, ma nella quale, al momento, è impossibile immaginare un futuro.

Della vicenda di Giuseppe ne avevamo parlato nei giorni scorsi, raccontandovi l’orrore vissuto dall’inizio del conflitto: la città in cui viveva da quattordici anni con la sua famiglia è tra le più martoriate dalle milizie russe e l’unico appiglio per il 46enne calabrese era rappresentato dallo scantinato di una palazzina adibito a bunker, condiviso con altre venti persone a una temperatura di -5 gradi.

La testimonianza: «Ho avuto paura»

Negli ultimi giorni, nonostante fossero partiti i negoziati, il conflitto ha conosciuto una terribile recrudescenza, tanto che i mezzi corazzati sono andati a occupare posizioni a pochissimi metri dall’abitazione di Giuseppe: «Ho avuto davvero paura», ci ha scritto su Whatsapp in quei momenti.  Al terrore nel trovarsi di fronte a un mostro cingolato, si sono aggiunte le difficoltà nell’approvvigionamento di viveri e medicinali, e l’impossibilità di uscire da casa senza rischiare di finire sotto il fuoco incrociato delle truppe in campo.

I bombardamenti dell’esercito di Putin

Da qui la decisione di rischiare il tutto per tutto e mettersi in macchina, sfidando il freddo, i posti di blocco e soprattutto i bombardamenti dell’esercito di Putin. Obiettivo: la frontiera con la Moldavia, appunto, da cui proseguire poi il viaggio di rinascita verso la Calabria. Una corsa di oltre tremila chilometri col cuore in gola e la voglia di lasciarsi alle spalle giorni interminabili, scanditi dal rumore cupo degli scontri a fuoco e da un inconfondibile odore di morte che si sta espandendo in tutto il Paese.

Fuga a tappe verso la Calabria

Una fuga a tappe, la loro, per via del coprifuoco che vige ovunque. Due sere fa un rapido scambio di messaggi:«Dormiamo in una "topaia" a trecento chilometri dal confine, non possiamo uscire né tenere le luci accese. I soldati sparano a qualsiasi cosa si muova nel buio». E alla richiesta di come sia andato il viaggio, ci ha risposto laconico: «Fino a duecento chilometri dalla città in cui vivevamo è stato un inferno».

Ma, alla fine, Giuseppe è riuscito nel suo intento. A sospingerlo nel viaggio, disperazione e coraggio, ma anche il supporto della sua comunità d'origine, dove le preghiere non si sono mai fermate e da cui è già partita una gara di solidarietà: sono moltissimi i suoi concittadini, residenti all'estero o fuori regione, che gli hanno offerto ospitalità per alleggerire la stanchezza fisica e mentale. I chilometri sono ancora tanti, ma il peggio sembra essere passato e Giuseppe non vede l'ora di lasciarsi alle spalle il peso di giorni che stanno, ancora una volta, cambiando il mondo, e che a lui e ai suoi cari hanno stravolto l’esistenza. Ma sono sopravvissuti, e questo è ciò che più conta.