A Cirò hanno ritrovato uno squarcio di serenità ma il loro cuore è nella loro città: «I cadaveri giacciono per le strade, tra i bombardamenti vengono raccolti dai vicini e sepolti nei cortili in fosse comuni» (ASCOLTA L'AUDIO)
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La salvezza l'hanno trovata in riva allo Jonio, a Cirò Marina, una trentina di chilometri da Crotone. Alle spalle si sono lasciate i morti e il cumulo di macerie provocati dalle bombe che da giorni piovono sulla loro città. Non una qualsiasi ma quella che è diventata la città martire della guerra in Ucraina: Mariupol. A migliaia di chilometri di distanza non odono più l'eco terribile delle esplosioni, ma il dolore per quanto continua ad accadere nella loro terra rimane ugualmente forte, come l'apprensione per i familiari rimasti in Ucraina. Loro sono Tania e Juna, madre e figlia del vice sindaco di Mariupol, Sergey Orlov, e hanno trovato rifugio in casa di loro parenti che vivono a Cirò Marina. Hanno affrontato un viaggio lungo e difficile, come tutti i profughi che stanno scappando dalla guerra.
Da Mariupol hanno raggiunto Varsavia e, dopo una tappa a Bari, sono giunte in Calabria. Ad accoglierle la sorella di Tania, una giovane ucraina che si è inserita bene a Cirò Marina dove ha sposato un uomo del posto, Michele, dal quale ha avuto due bambine.
In casa dei loro parenti cirotani, che le attendevano trepidanti e felici, Tania e Juna hanno ritrovato uno squarcio di serenità. Ma il loro cuore è al marito e al padre, a Sergey Orlov rimasto a Mariupol, con il quale, fortunatamente, riescono ancora a sentirsi al telefono. Sergey le ha rassicurate spiegando che, insieme al sindaco e a tutto il consiglio di guerra, è riuscito a mettersi al riparo, in un bunker poco fuori dalla città. «Mi dicono che stanno provando ad aprire un corridoio umanitario, ma i russi sparano sulle persone in fuga» spiega Tania, raggiunta dall'Agi attraverso il papà di suo cognato Michele.
«L’esercito russo ha completamente distrutto la città e continua a farlo con metodica crudeltà, circondandola da tutti i lati, non lasciando passare i convogli umanitari e non lasciando uscire i civili» racconta la donna. «Le case vengono distrutte e in tanti sono rimasti sotto le macerie. Più di cento bombe sono già state sganciate su una città che fino a qualche settimana fa era serena e aveva tanta voglia di migliorare, in pace. A Mariupol sono morti già più di duemila civili. I cadaveri giacciono per le strade, tra i bombardamenti vengono raccolti dai vicini e sepolti nei cortili in fosse comuni. Cos’è questo se non genocidio?» è la domanda disperata di Tania.
Ma il suo pensiero va anche ai vivi. «Le persone - spiega - vivono negli scantinati da troppi giorni, senza comunicazione, luce, riscaldamento, acqua e cibo. Tutti i negozi sono stati bombardati o saccheggiati. L’acqua viene raccolta dalle pozzanghere o si scioglie la neve mentre fuori la temperatura è a meno 6 gradi. I vecchi e i bambini sono in trappola da settimane. Non ci sono più le risate dei bambini, solo lacrime, sangue e dolore».
E tuttavia Tania si sente 'fortunata': «Se io e mia figlia non avessimo deciso subito di partire, dopo i primi due giorni di bombardamenti, ora saremmo seduti in uno di quegli scantinati». E il suo pensiero va agli anziani genitori rimasti in Ucraina dai quali dice di non avere più notizie da una decina di giorni. «Quello che sta succedendo a Mariupol ora è l’inferno, l’inferno in Europa nel ventunesimo secolo».