Continua a non darsi pace da sette anni. Anni di dolore e di amarezze. Il dolore, quello più grande: quello di perdere un figlio trafitto dal piombo mafioso. L’amarezza, quella che cerca di placare, e solo con la «giustizia» la potrà placare. Martino Ceravolo è questo che chiede, è questo che aspetta.

 

Da qualche tempo è in giro per le scuole, incontra studenti, incontra persone, parla della sua storia e di quella di suo figlio Filippo ammazzato nel 2012, vittima di una guerra che non era sua. Non era lui l’obiettivo dei sicari. Nell’auto in cui perse la vita c’era per caso. Aveva chiesto un passaggio alla persona sbagliata, un compaesano, il vero obiettivo dei killer, solo per rientrare prima a casa. Ma dalla sua famiglia non è mai più tornato, né giustizia è mai stata fatta.
Sul suo ragazzo morto a 19 anni, Ceravolo ha scritto un libro, vuole che la gente sappia, che quante più persone possibile conoscano questa storia atroce.

«Stento a trattenere le lacrime qui davanti a voi - ha raccontato ai ragazzi dell’Istituto tecnico economico di Vibo Valentia - ma lo faccio per Filippo. Dovevo essere al mercato a lavorare in questo momento, ma sono qui con voi, per dirvi chi era mio figlio, per dirvi come me l’hanno portato via». Un confronto alternato da racconti, domande, riflessioni.


Non domande ma risposte ha invece chiesto Martino Ceravolo al questore di Vibo Valentia Andrea Grassi. Dopo l’incontro con gli studenti, infatti, il papà di Filippo si è recato in Questura dove è stato accolto dal capo dei poliziotti vibonesi. A lui ha consegnato una copia del libro ricevendo in cambio un dono per la sua famiglia, ma soprattutto ha rivolto un appello, l’ennesimo, affinché vengano assicurati alla giustizia i criminali che hanno tolto la vita a suo figlio. È stanco Martino. È stanco di attendere, di assistere ad indagini lunghe, archiviazioni. Si è sfogato, era pronto anche ad incatenarsi davanti alla Procura di Catanzaro. Il questore Grassi ha compreso il dolore dell’uomo, il suo sacrosanto desiderio di giustizia, ma con diplomazia l’ha indotto a pazientare. «Io capisco che ci vuole pazienza, e cercherò di averne ancora – ci ha raccontato – ma un figlio di 19 anni l’ho perso io. Quanto ancora dovrò attendere?».

Giuseppe Mazzeo