Anche un’assoluzione nel processo teso a far luce sull’omicidio dello sfortunato operaio forestale maturato a luglio del 2004 quale conseguenza di un tragico scambio di persona. Niente ergastoli per come auspicava la Dda di Catanzaro
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Si è concluso con due condanne e un’assoluzione il processo che si proponeva di far luce sull’omicidio di Antonio Maiorano commesso a Paola (Cs) il 21 luglio del 2004. Trent’anni di pena sono stati inflitti a Romolo Cascardo e Alessandro Pagano, mentre il terzo imputato, Pietro Lofaro, ha ottenuto un verdetto d’assoluzione. Per tutti loro, invece, la Dda di Catanzaro aveva chiesto il massimo della pena possibile: l’ergastolo.
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Quasi vent’anni dopo, dunque, è possibile associare una verità giudiziaria alla morte dell’operaio forestale, evento tristemente noto poiché determinato da un tragico scambio di persona. Maiorano, infatti, era un incensurato estraneo a qualunque contesto criminale. Quel giorno maledetto si trova nei pressi del locale campo sportivo quando i sicari lo scambiano per Giuliano Serpa, boss dell’omonimo clan all’epoca impegnato in una faida sanguinosa con il gruppo Martello.
A indurre in errore il commando sarebbe stato Pagano che secondo gli inquirenti svolgeva il ruolo di “staffetta”. L’omicidio, invece, sarebbe stato pianificato utilizzando anche la calzoleria di Cascardo come base operativa. E alle riunioni convocate per emettere la sentenza di morte contro Serpa, si riteneva avesse preso parte pure Lofaro. Una tesi che poggiava in gran parte sul racconto dei collaboratori di giustizia, fra cui lo stesso Serpa, e che per due terzi ha trovato conforto in aula. Il processo si è celebrato in abbreviato e quella pronunciata oggi è ancora una sentenza di primo grado.
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A difendere Lofaro c’erano gli avvocati Sabrina Mannarino e Michele Rizzo. I familiari della vittima, parti civili nel procedimento, erano rappresentati invece dagli avvocati Pasquale Vaccaro, Maria Giuseppina Torchia e Marco Maiorano.