La competenza sul delitto del 30enne freddato nelle campagne di Dinami potrebbe passare alla Dda di Catanzaro. Il papà avrebbe pagato con la vita il furto di un motorino ai danni di un uomo imparentato con i Ferrentino-Chindamo, esponenti di spicco dell’omonimo clan di Laureana di Borrello (ASCOLTA L'AUDIO)
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Potrebbe presto passare alla Dda di Catanzaro la competenza sull’omicidio di Alessandro Morfei, 30 anni, freddato ieri sera nelle campagne di Monsoreto di Dinami mentre si trovava a bordo di un trattore.
Le indagini sono al momento in mano ai carabinieri della Stazione di Dinami e della Compagnia di Serra San Bruno, seguite anche dal comando provinciale di Vibo Valentia con il coordinamento della locale Procura, ma sia le modalità del fatto di sangue – un vero e proprio agguato con un fucile caricato a pallettoni – sia i legami familiari della vittima fanno propendere per un delitto di stampo mafioso e da qui la possibile competenza funzionale della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, non escludendo neanche un interessamento della Dda di Reggio Calabria, atteso che Monsoreto di Dinami si trova proprio sulla linea di confine con la provincia reggina e nella zona si sono sempre fatte sentire le influenze dei clan dei vicini centri di Candidoni, San Pietro di Caridà e Laureana di Borrello dai quali potrebbe essere partito l’ordine di eliminare Alessandro Morfei.
L’omicidio del padre nel 1998
Conosciuto dalle forze dell’ordine per condotte legate agli stupefacenti, Alessandro Morfei era figlio di Pietro Morfei, a sua volta ucciso il 17 luglio 1998 nella piazzetta di Monsoreto di Dinami. Pietro Morfei avrebbe pagato con la vita il furto di un motorino ai danni di Francesco Moricca, imparentato con i Ferrentino-Chindamo, esponenti di spicco dell’omonimo clan di Laureana di Borrello.
Pietro Morfei assieme al fratello si trovava all’interno di un bar intento a consumare un caffè quando è sopraggiunta un’autovettura con un commando che ha fatto fuoco colpendo la vittima con sei proiettili in parti vitali tanto che lo stesso è morto immediatamente. All’interno dell’autovettura usata dal commando di fuoco era stata collocata una microspia grazie alla quale tutte le fasi dell’omicidio erano state captate e registrate dalla Dda di Reggio Calabria così da far seguire in diretta l’esecuzione di Pietro Morfei.
Un fatto di sangue per il quale è stato poi condannato Alessandro Ferrentino, nipote del più noto Giosuè Chindamo di Laureana di Borrello, personaggio all’epoca rivale ai clan (alleati fra loro) Mancuso di Limbadi, Piromalli e Molè di Gioia Tauro. Di Alessansdro Ferrentino e dell’omicidio di Pietro Morfei ha parlato nei suoi verbali anche il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, che proprio con Ferrentino ha condiviso un comune periodo di detenzione nel carcere di Spoleto. Pietro Morfei era emerso anche nelle indagini dell’operazione antimafia denominata “Genesi” quale soggetto influente nella zona di Dinami.
Lo zio omonimo di Alessandro Morfei
L’odierna vittima – Alessandro Morfei – è quindi nipote dell’omonimo di 47 anni (fratello di Pietro), condannato per aver preso “parte attiva sia alla fase deliberativa che esecutiva dell’omicidio di Giuseppe Russo, maturato in un contesto mafioso ed in qualità anche di partecipe alle attività di sepoltura della vittima”. Giuseppe Russo, 22 anni, di Acquaro, è stato ucciso il 15 gennaio 1994 ad Acquaro quale punizione per aver intrattenuto una relazione con la nipote del boss Gallace di Arena. Il suo cadavere è stato poi gettato in una fossa e dato alle fiamme.
Il 47enne Alessandro Morfei era stato scarcerato nel dicembre 2014 per aver scontato la pena (22 anni di reclusione per omicidio, detenzione illegale di armi e occultamento di cadavere, più altri 6 anni per associazione mafiosa). Nel marzo scorso gli è stata anche revocata la sorveglianza speciale. Ieri sera, quindi, l’omicidio del nipote omonimo.