VIDEO | Non ce l'ha fatta il ragazzo maliano ferito giorni fa a Contrada Russo. Troppo gravi le ferite e le lesioni riportate. I sanitari oggi ne hanno dichiarato la morte cerebrale. Sconforto tra i migranti, mentre cresce la paura e la tensione per l'emergenza da Covid-19
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Si muore di ghetto nella Piana di Gioia Tauro. Non ce l’ha fatta Amadou, il ragazzo maliano aggredito qualche giorno fa a contrada Russo da un altro abitante del ghetto, Sylla Daouda, bloccato dagli altri braccianti, che hanno subito avvertito le forze dell’ordine e i soccorsi. L’ambulanza è arrivata in fretta, il ragazzo è stato portato prima a Polistena, dove è stato stabilizzato, quindi a Reggio Calabria dove si è tentato un intervento chirurgico per salvargli la vita. Ma le ferite riportate erano troppo gravi e troppo estesi i traumi interni. I medici non hanno potuto far altro che dichiararne la morte cerebrale. Poco dopo sono state staccate le macchine che lo tenevano in vita.
Vivere e morire di ghetto
Una notizia arrivata in fretta a contrada Russo di Taurianova, dove da giorni vanno avanti le assemblee fra i braccianti. Fra la paura dell’epidemia da Covid19, il lavoro che manca, insieme alla possibilità di acquistare del cibo, la vita di ghetto si sta facendo complicata. Così come la gestione di soggetti come Sylla Daouda, il 31enne responsabile dell’aggressione che da sempre al campo era considerato un soggetto problematico. «Uno che con la testa non stava bene» dicono di lui gli altri braccianti. Ma non c’è assistenza psichiatrica per i lavoratori della terra confinati in ghetti e casolari, neanche assistenza medica, se non quella fornita dai volontari delle ong. Anche in tempo di epidemia, in campi come quello di Taurianova, si continua a vivere senza acqua corrente, senza servizi, senza elettricità se non quella assicurata da un vetusto generatore.
La lettera dei braccianti
Una situazione complicata divenuta impossibile in periodo di pandemia, con le tensioni che si moltiplicano e le difficoltà che aumentano. Per questo da giorni al ghetto si discute. Dalle assemblee che si stanno susseguendo nel campo è venuta fuori una lettera, che i braccianti sperano di far arrivare sulla scrivania di Prefettura e Comuni, che a quanto pare hanno iniziato a porsi il problema di quei lavoratori costretti a vivere in assembramenti di fatto, che per ragioni sanitarie il governo vieta da oltre un mese. Chiedono la possibilità di proteggersi dall’epidemia e di vivere in case dignitose «per la nostra salute e la salute pubblica», contratti regolari «con un giusto salario e la fine dello sfruttamento» che oggi consentirebbero loro di continuare a lavorare nei campi, la possibilità di non essere più invisibili, tramite la regolarizzazione e la cancellazione dei Decreti sicurezza, che in più di un caso hanno reso clandestino chi non lo era.
Il dibattito nazionale sulla regolarizzazione
Richieste che intercettano il dibattito nazionale sulla crisi verticale della filiera agricola. Nei campi – è stato l’allarme delle associazioni di categoria – mancano oltre 370mila braccianti a causa della chiusura delle frontiere, come dei rigidi controlli a cui sono sottoposti gli spostamenti per lavoro. Senza un contratto non ci si può muovere e un intero settore, in cui per anni ampio è stato il ricorso al lavoro nero o grigio, è andato in crisi. «Dobbiamo fare i conti con la realtà – ha riconosciuto la ministra Teresa Bellanova - Ci sono i ghetti, pieni di lavoratori arrivati dal sud del mondo che lavorano nelle nostre campagne in nero. Lì sta montando la rabbia e la disperazione, se non si fa qualcosa il rischio è che tra poco ne escano e non certo con un sorriso. C'è un forte deficit di manodopera, bisogna mettere anche loro in condizioni di lavorare in modo regolare». Anche perchè, ci ha tenuto a sottolineare, «Se certi processi non li governa lo Stato ci pensa la mafia». Ma mentre si continua a discutere, le condizioni nei ghetti peggiorano.