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Una vecchia casa di campagna, un folle omicida e una vittima che offre un pasto al suo carnefice, ignara di quello che le sarebbe accaduto. Sono gli ingredienti di una storia di sangue che risale a 53 anni fa, consumatasi a Pizzo e ormai quasi persa nella memoria delle cronache calabresi. Se non fosse per Rocco Greco, attento cultore delle vicende che riguardano la sua terra, alla quale dedica con regolarità scritti e riflessioni.
I fatti in questione colpirono molto l’immaginario collettivo, per la crudeltà con cui fu commesso l’omicidio e per la casualità degli eventi. Teatro del delitto fu villa Emilia, un vecchio casolare che ancora sorge lungo la statale 18, a metà strada tra lo svincolo autostradale di Pizzo e il centro urbano. Impossibile non notarlo a causa del contrasto tra le sue linee architettoniche baroccheggianti e l’asfalto lucido di questo tratto di strada a scorrimento veloce.
Sul muro della casa ormai diroccata è ancora ben visibile la targa che ricorda l’atroce sorte di una donna di 68 anni, uccisa e abbandonata sotto un mucchio di letame proprio nel punto in cui è stata apposta la lapide commemorativa. All’ingresso del casolare, la frase in latino “Parva sed apta mihi”, “Piccola ma adatta a me”, testimonia l’atmosfera semplice e familiare di un luogo che fu scosso dall’imponderabile follia umana.
«Il 26 marzo del 1964, giovedì santo - scrive Greco - qui è stato compiuto un efferato delitto. Una donna, Vittoria Michienzi, sposata Scuticchio, fu brutalmente uccisa da un squilibrato».
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L’assassino, un emigrante originario di Giarre, in provincia di Catania, era stato dimesso da una clinica psichiatrica tedesca e stava tornando in Sicilia.
«Non si sa bene il motivo – continua Greco -, ma con tutta probabilità perché affamato, scese dal treno alla stazione ferroviaria di Francavilla Angitola e incamminatosi sulla Statale 18, in direzione di Pizzo, giunse a villa Emilia nelle prime ore del pomeriggio. Donna Vittoria era da sola, il marito ed il loro unico figlio, affittuari del fondaco e della campagna tutta attorno, si trovavano nelle terre a lavorare. Il giovane chiese subito da mangiare e da bere, cosa che la donna non esitò a fare, donandogli dell’acqua, del pane, olive e un pezzo di formaggio».
La fine del pasto scatenò la follia omicida e senza alcun motivo l’uomo si avventò sull’anziana donna. «Raccolse da terra un bastone e colpendola più volte alla testa l’uccise - prosegue Greco, che ha ricostruito la vicenda grazie a numerose testimonianze -. I familiari, giunti in serata, la cercarono prima nei paraggi e poi a Pizzo presso i parenti. Trovarono il suo corpo senza vita soltanto a sera inoltrata, davanti la casa, occultato sotto il letame nel punto dove poi è stata apposta la lapide in suo ricordo».
Dopo il delitto l’omicida non si era allontanato di molto e i carabinieri lo arrestarono il mattino seguente alla stazione di Francavilla Angitola, dove si apprestava a riprendere il treno per proseguire il suo viaggio verso la Sicilia.