Si tratta di Giuseppe D'Ascoli, accusato di aver redatto tre certificati in cui “attestava falsamente di aver visionato referti radiologici”
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Avrebbe redatto tre certificati medici in cui “attestava falsamente di aver visionato i referti radiologici in realtà inseriti abusivamente nel sistema da Nicolà Gullì”, l’infermiere finito oggi agli arresti domiciliari insieme al medico del pronto soccorso Bruno Falcomatà, e ai due presunti truffatori poi Vincenzo Benedetto e Francesco Cilione. È questa l’accusa che la Procura di Reggio Calabria muove a Giuseppe D’Ascoli, medico in servizio al reparto di neurochirurgia grande ospedale metropolitano reggino nonchè consigliere comunale eletto tra le fila di Forza Italia. D’Ascoli infatti, risulta indagato a piede libero nell’inchiesta “Assicurato” condotta stamani dal comando provinciale della Guardia di Finanza. Ad essere finiti nel registro degli indagati anche il medico legale di Cosenza Vincenzo Prastaro e due agenti della polizia municipale dello stretto, Paolo Cilione e Domenico Scevola.
Oltre ai tre certificati medici D’Ascoli è accusato anche di aver attestato la visita di un ragazzo che poi la Finanza scoprirà essere stato costretto a mettere in piedi una truffa, simulando un trauma da incidente stradale, e sotto minaccia sarebbe stato costretto ad attivare un conto corrente al Monte dei Paschi e una postepay dove sono stati versati 54mila euro. Una truffa di cui D’Ascoli non è accusato per aver intascato il denaro, ma per aver “falsificato e precostituito elementi di prova e documentazione relativi al sinistro” , risultato essere poi inesistente.
Il consigliere comunale verrà iscritto nel registro degli indagati il 18 luglio dello scorso anno mentre verrà sentito dalle forze dell’ordine il 10 ottobre del 2017. In quel momento non era indagato, e anche se successivamente verrà iscritto, le sue dichiarazioni, pur essendo state messe a verbale senza la presenza del difensore in quanto persona informata sui fatti “risultano- scrive il gip- utilizzabili perché favorevoli all’indagato stesso.
In particolare è lo stesso D’Ascoli a riconoscere «la paternità dei tre referti medici - è riportato sempre nell’ordinanza a firma del gip Stefania Rachele - attraverso i quali è stato monitorato il decorso della rottura elle vertebre del presunto paziente. Egli ha dichiarato di non ricordare lo specifico paziente, ma di avere comunque agito secondo un prassi ospedaliera consolidata. Ha dichiarato di non aver provveduto a verificare l’identità del paziente presentatasi al suo cospetto (d’altronde un onore di questo tipo- chiosa il gip- non appare esigibile dal sanitario il quale certamente nell’esercizio della propria attività ospedaliera non è chiamato ad agire come un agente di polizia giudiziaria identificando formalmente i pazienti, né di aver verificato se il referto che gli veniva posto in visione era stato validato dal sistema Ris né, ancora, di aver visionato le immagini radiologiche sul sistema Pacs)». Sostanzialmente l’indagato si è limitato a visionare i referti radiologici, «poi rivelatisi falsi», al cospetto del paziente, anche se non ha compiuti alcuna sua identificazione formale, «e a redigere la diagnosi» sulla scorta di quanto emergeva dagli stessi referti. D’Ascoli quindi, si sarebbe “fidato” di quanto attestato da un altro medico che lui stesso conosceva e per cui nutriva stima. Referti che questo secondo sanitario poi, dirà di disconoscere la paternità ponendo il luce il meccanismo di falsi che era stato messo in piedi per orchestrare le truffe.
Un meccanismo che non è nuovo al nosocomio reggino e sarà lo stesso D’Ascoli a dirlo alla Finanza. «In passato, dirà durante l’escussione, è capitato che sono stato sentito dalla polizia giudiziaria per certificazioni rilasciate apparentemente da me, ma poi risultate essere false perché da me visionate e disconosciute. L’ultima certificazione con firma illeggibile - ha detto- con timbro di neurochirurgia, poi risultata essere disconosciuta da tutti i colleghi del reparto è giunta giovedì scorso. ciò per dirvi che è un costante problema del reparto». Anche se rimane indagato a piede libero, però per il gip questa sua condotta «sebbene anomala, non può essere di per sé, in assenza di altri elementi indicativa di un consapevole apporto dell’indagato alla consumazione del reato», ma essa al contempo, però potrebbe essere «indicativa di negligenza e sciatteria nell’esecuzione delle visite diagnostiche non connotata da rilevanza dimostrativa di un apporto concorsuale consapevole». Ed è per questo che nei suoi confronti non è stato emesso alcun provvedimento cautelare.
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