«Leandro era un bravo ragazzo, aveva tanti progetti. Dopo le scuole medie avrebbe voluto frequentare il geometra e poi, come aveva scritto in un tema qualche giorno prima di morire, dopo le superiori voleva iscriversi all'università perché voleva fare l'informatico e poi mettere su famiglia». Con queste parole Simeonova Reni Vaselinova, donna forte e sensibile di origini bulgare, racconta chi era Leandro, portando nel cuore il dolore più grande che una madre possa vivere: la perdita di un figlio. Un figlio morto troppo presto da non avere avuto neanche il tempo di dirsi addio. La vita di Leandro Celia, 13enne di Petrizzi, in provincia di Catanzaro, si è spenta tragicamente l'8 marzo 2017 quando venne travolto da un treno in corsa sui binari di Soverato. Nelle ore immediatamente successive all'indicente, di Lenadro si diceva che fosse un ragazzino spericolato, che si trovava lì, su quei binari, per un selfie estremo. Ma oggi mamma Reni decide di raccontare chi era veramente Leandro nelle pagine del libro "un addio non detto non è mai la fine".

 

Chi era Leandro Celia

«Leandro non era uno sbandato, non amava il rischio. Non ha mai dato preoccupazioni a noi genitori». Leandro non era solo su quei binari, era insieme a due amici rimasti illesi, scappati via forse perché temevano le conseguenze della loro bravata, un gesto che Reni non riesce a giustificare. «Di mio figlio mi manca tutto. E' una cosa assurda e ancora oggi faccio fatica a crederci. E' stato orrendo vedere le immagini di mio figlio dopo la tragedia su quel ponte morto, investito da un treno, con la testa spaccata. E poi se penso che questi amici che erano con lui.. lo hanno lasciato lì. Gli amici non ti lasciano in difficoltà. Se la stessa cosa fosse successa ad un altro ragazzo, mio figlio non l'avrebbe lasciato solo. Lo conoscevo bene. Lui si dispiaceva per tutto, anche per gli animali». 

 

L'ultima telefonata con la madre

Stringe in mano il suo libro e intanto accarezza i fiori che da circa un anno sono lì, su quel cavalcavia che tante volte Reni ha attraversato con suo figlio, a pochi metri dalla ferrovia alle porte di Soverato, mentre ricorda l'ultima telefonata tra loro. «Quella sera ho sentito per l'ultima volta Leandro alle 17.01 e mi ha detto che era a Soverato con gli amici, che sarebbero andati a mangiare una pizza e poi avrebbero ripetuto la storia per l'interrogazione del giorno dopo. Io ho fatto le solite raccomandazioni. Gli dicevo sempre di stare attento. Ero tranquilla. Intorno alle 21.00 io stavo guardando un film alla tv e mio marito era da poco andato a dormire quando i Carabinieri suonano alla porta e mi informano del fatto che mio figlio aveva avuto un incidente. Con mio marito siamo subito scesi da Petrizzi a Soverato. Arrivati nei pressi della tragedia abbiamo incrociato un carro funebre. E' stato allora che ho capito che mio figlio era morto. Non avrei mai pensato ad una cosa del genere».

 

La morte di Leandro: un messaggio per i giovani

La prematura scomparsa di Leandro per Reni ha un significato e attraverso le circa 70 pagine del suo libro e con gli occhi pieni di lacrime decide di mandare un massaggio ai giovani. «Con la sua morte, mio figlio ha inviato un messaggio ai giovani. Perché la vita è un bene prezioso e non si deve scherzare con la vita per nessun motivo. I giovani devono scegliersi gli amici perché l'amico è colui che ti vuole bene e non farebbe nulla per mettere la vita in pericolo, né la sua né la tua. L'amicizia è molto importante soprattutto durante l'adolescenza perché i ragazzi sono più deboli e possono succedere tante cose. Cari giovani, è vietato morire».

LEGGI ANCHE: