Sono 32 i destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Bari ed eseguita dalla Squadra Mobile in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Emilia Romagna, Veneto ed all’estero, grazie al coordinamento dello Sco ed alle attività di cooperazione internazionale condotte dall'Interpol in Germania, Francia, Olanda e Malta. Gli arrestati sono ritenuti responsabili, con vari ruoli, di associazione mafiosa finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani, alla riduzione in schiavitù, alle estorsioni, alle rapine, alle lesioni personali, alla violenza sessuale, all’uso di armi bianche ed allo sfruttamento della prostituzione e dell’accattonaggio.

Le denunce di due ospiti del Cara di Bari

 Gli arrestati sono accusati di aver fatto parte, insieme a numerose altre persone non ancora identificate, di due distinte associazioni a delinquere di stampo mafioso, di natura cultista, operanti nella provincia di Bari quali cellule autonome delle fratellanze internazionali denominate “Supreme Vikings Confraternity - Arobaga” e “Supreme Eiye Confraternity”, che hanno agito per lungo tempo allo scopo di ottenere il predominio sul territorio barese e di gestire i propri affari illeciti. Le indagini della Squadra Mobile barese hanno preso avvio dalle denunce nel 2016, di due cittadini nigeriani ospiti del Centro accoglienza richiedenti asilo di Bari, vittime di pestaggi, rapine e ripetuti tentativi di condizionamento per esser ‘arruolati’ tra le fila di un gruppo malavitoso che stava espandendo la sua influenza all’interno del Centro, poi scoperto essere quello dei cosiddetti “Vikings”.

 

Lo sfruttamento della prostituzione

Una delle principali attività illecite  è stata proprio quella dello sfruttamento della prostituzione, arrivando ad occupare immobili a Bari adibiti al meretricio, nonché le strade sulle quali collocare le giovani da fare prostituire.  Inoltre le due associazioni sfruttavano i giovani nigeriani che mendicano davanti ai supermercati ed altri esercizi commerciali di Bari e provincia. Anche in questo caso, i servizi di intercettazione telefonica hanno delineato uno spaccato di vita e di criminalità all’interno della comunità nigeriana ben chiaro, confortato dalle dichiarazioni delle vittime che hanno confermato il pagamento del ‘pizzo’ sui loro miseri ricavi, con consegna di denaro agli esponenti delle gangs o con ricariche telefoniche sulle utenze di costoro.  Fra l’altro, i dati pian piano acquisiti alle indagini si sono dimostrati perfettamente sovrapponibili agli esiti investigativi che, nel frattempo, molte altre Squadre Mobili in Italia hanno sviluppato in quel periodo, a conferma del fatto che la mafia nigeriana si è radicata i molte zone del territorio nazionale (dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania, dalle Marche alla Puglia) con numerosi insediamenti di cellule di ispirazione cultista, tutte votate a perseguire i medesimi obiettivi delinquenziali e tutte operanti secondo le classiche metodologie mafiose improntate alla violenza, all’assoggettamento e all’omertà. Già nel 2011 l’Ambasciata Nigeriana a Roma emanava una nota in cui si leggeva «nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenenti a sette segrete, proibite dal governo a causa di atti violenti: purtroppo ex membri sono riusciti ad entrare in Italia e hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali».

I violenti pestaggi

Gli investigatori intuirono che molte delle violenze commesse dagli ospiti nigeriani del Cara nei mesi successivi non erano casi isolati, ma si inserivano in un contesto di scontri tra le due principali gang criminali ivi presenti, quella dei “Vikings” e quella degli “Eyie”, la prima più numerosa e più violenta della seconda. Entrambe reclutavano nuovi adepti attraverso cruenti riti di iniziazione consistenti in ‘prove di coraggio’, per tentare di prevalere l’una sull’altra e commettevano violenze, rappresaglie e punizioni fisiche. I due gruppi hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista della ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali (dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, di supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni). Si sono registrati casi di inaudita violenza nei confronti di coloro che non accettavano di aderire alle confraternite o che non ne rispettavano le regole. Le vittime hanno raccontato agli investigatori di veri e propri pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate con l’utilizzo di spranghe, mazze e cocci di bottiglia. Nei confronti delle donne nigeriane, in particolare, è emersa anche la vessazione psicologica riservata ad un ceto ritenuto inferiore, buono solo a soddisfare le esigenze sessuali della comunità maschile e, soprattutto, a produrre denaro attraverso lo sfruttamento della prostituzione.