Potrebbe essere, semplicemente, si fa per dire, l’ennesima cattedrale calabrese nel deserto. Un opificio finanziato con fondi europei, costato nove miliardi delle vecchie lire confluiti a creare la raffineria d’olio più grande della Calabria, con macchine sofisticate e all’avanguardia mai messe in funzione.

 

Ma potrebbe essere non solo questo. Siamo nella Piana di Sant’Eufemia a Lamezia Terme, a pochi passi dallo snodo autostradale e dalla ferrovia. La raffineria, nata nel 1969, faceva parte integrante del progetto Feoga (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia) che in Calabria aveva istituito altri due centri per il trattamento delle olive: il primo era a Rossano per la raccolta e il secondo a Eranova per l’imbottigliamento. L’opificio è di proprietà della Regione Calabria, dell’Esac-Arssa, ovvero dell’assessorato all’Agricoltura che non se ne mai occupato.

 

Uno spreco e uno sfregio denunciato più volte. Ma negli anni non solo è lasciato a se stesso ma sembra che qualcuno ne impedisca anche l’ingresso lasciandovi invece entrare mezzi pesanti. L’avvocato Giancarlo Nicotera ha denunciato l’accaduto preoccupato di quanto potrebbe stare accadendo al suo interno. Un uomo, con una zappa in mano, gli avrebbe intimato di allontanarsi e gli avrebbe impedito l’ingresso. Ma proprio in quegli attimi sarebbero arrivati dei mezzi pesanti con a bordo degli uomini di etnia rom che sarebbero invece entrati liberamente.

 

Ma di lascar perdere Nicotera, esponente di Patto Sociale, non ha nessuna intenzione. Ecco perché si è rivolto ai Carabinieri e alla Procura e chiede di vederci chiaro. Il dubbio è che all’interno di questo opificio “dimenticato” avvengano traffici illeciti tanto da impedire ad un libero cittadino di entrare in una proprietà pubblica.

 

L’ingresso è stato sbarrato con un tronco, ci sono pneumatici al di sotto per impedire il passaggio, un cane fa da guardia. Il luogo è vivo, non abbandonato completamente. E basta fare una ricerca nell’archivio storico della stampa calabrese per capire che “movimenti” in passato ci sono stati.

 

Era il 2008 quando la Gazzetta del Sud titolava “La Raffineria in mano agli zingari”. L’area era stata posta sotto sequestro perché il presidente della società Insieme, a cui era stata affidata nel 2006, aveva denunciato ai carabinieri ed alla Procura che nell’area erano stati scaricati rifiuti, alcuni dei quali di dubbia provenienza, batterie d’auto esauste, oli chimici usati e vecchie gomme.

 

Al momento di dissequestrare l’area, non solo ci si trovò di fronte a blocchi d’accesso d’ogni tipo “non ufficiali”, ma anche a brandine e materassi, strutture smembrate per rivenderne il ferro, arredi degli uffici rubati. Il dubbio è che qualcosa ancora avvenga ed è quanto ha chiesto di verificare alla Procura Nicotera.