Prima tira in ballo colleghi magistrati, poi ritratta. Racconta in dettaglio di sentenze aggiustate, killer lasciati a piede libero, colleghi scomodi allontanati avallando interessate istanze di ricusazione, poi si pente. Ha mille facce, mille volti, mille verità, l’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini. Per il procuratore vicario Luca Masini e il pm Vincenzo Senatore non è un cliente per nulla facile da gestire, ma adesso delle sue bugie hanno le prove. E sono finite agli atti di due distinti procedimenti. Il primo è l’inchiesta Genesi, che lo ha fatto finire in manette, il secondo ha un diverso e più recente numero di registro e sembra avere molto a che fare con le dichiarazioni del giudice.

Le bugie di Petrini ai pm di Salerno

Ufficialmente magistrato irreprensibile, in realtà per sua stessa ammissione padrone di un suq in cui ogni sentenza era in vendita. Forse anche fratello di una loggia segreta, che tra guanti e grembiuli annovera anche più di una toga, oltre all'avvocato ed ex senatore Giancarlo Pittelli,e magari ancora fedele a quel sistema, in grado di comandarlo a bacchetta. Di fronte ai pm di Salerno che su di lui indagano, Marco Petrini ha mentito. Ha mischiato verità con menzogne e verosimiglianze, ma è stato stanato. E a causa dei suoi giochini è tornato in carcere per oltre un mese prima di essere riammesso ai domiciliari.

I mille volti del giudice

Per i magistrati, istigato dalla moglie, Maria Stefania Gambardella, per questo indagata, ha iniziato a sciorinare una serie di «ricostruzioni illogiche», miste a piccole verità e svogliate ammissioni, più «dichiarazioni mendaci» - si legge nelle carte – messe in fila negli interrogatori del 25 e 29 marzo e del 17 aprile. E adesso quegli interrogatori sono agli atti. In più, c'è uno stralcio di quello del 5 febbraio. Il Petrini numero 1, almeno all’apparenza. Quello che ancora non sembrava aver prestato ascolto alle sirene del suo vecchio mondo e alle «espressioni minatorie» della moglie. E che di fronte ai pm che gli mostrano due biglietti per le partite del Crotone, ammette di essersi fatto corrompere da Enzo Sculco.

Quella condanna ingombrante che Sculco aveva fretta di far estinguere

L’offerta – racconta Petrini – gli era stata fatta dal difensore del politico, l’avvocato Mario Nigro. Il plenipotenziario della politica crotonese aveva un problema non da poco. Far dichiarare estinta una condanna in precedenza riportata e soprattutto le pene accessorie collegate. «In particolare – afferma Petrini - la sanzione d'interesse era quella della interdizione perpetua dai pubblici uffici ed anche quella dì contrattare con P.A. per anni tre. Tra i reati per i quali Sculco era stato condannato vi era una corruzione».

Il prezzo della corruzione: due biglietti per la partita del Crotone

A Petrini si chiedeva «un interessamento». In cambio, tanto nel 2017 come nel 2018, «dall’avvocato Nigro» ha ricevuto – ammette - «due biglietti omaggio per assistere alla partita di calcio in entrambi i casi le partite Crotone-Milan. In entrambi i casi si trattava di due biglietti uno per me ed uno per il figlio di mia moglie Stefania Gambrdella, che si chiama Gian Giuseppe Buscemi». Ovviamente, «intestati ad Enzo Sculco corredati della dichiarazione dello stesso di cessione dei titoli».

Le ammissioni di Petrini

Tutte carte che gli investigatori hanno trovato nel corso della perquisizione a casa del giudice. E che – confessa lui – hanno portato agli effetti desiderati. «In cambio dei suddetti biglietti ho trattato il procedimento con esito favorevole al condannato Enzo Sculco. Mi viene ricordato che l'udienza di trattazione del procedimento fu quella del 30 giugno 2017 e che il deposito la decisione di sostanziale accoglimento dell'istanza dell'avv. Nigro. Gli altri due componenti del collegio nulla sapevano», specifica.

 

«Nel contesto delle attività investigative - si legge però nell'ordinanza di custodia cautelare che ha riportato il giudice in carcere - tale dichiarazione del Petrini si rivelava mendace, in quanto smentita dal provvedimento adottato dalla Corte d'Appello di Catanzaro il 28.06.2017 nei confronti di Enzo Sculco.

Invero, dalla lettura del provvedimento si evicenva che il Petrini non aveva composto il Collegio, e che il provvedimento adottato dalla Corte d'Appello non era stato di accogliemento bensì di non luogo a provvedere sulla istanza difensiva (sul presupposto che l'estinzione della pena accessoria fosse già intervenuta per effetto di una precedente pronunzia del giudice dell'esecuzione.

Dunque era riscontrata la cessione dei biglietti da parte dello Sculco (per il tramite dell'avvocato) al Petrini ma era al contempo non veritiera l'affermazione del Petrini (autoaccusatoria e accusatoria nei confronti del Nigro e dello Sculco), secondo cui egli avrebbe adottato un'ordinanza accogliemento (senza coinvolgere nel patto corruttivo i componenti del Collegio)».

Ritrattazioni spia?

Il resto è tutto coperto da un lungo omissis, salvo quella che sembra l’ultima frase di quell’interrogatorio. E recita testualmente «erano false in quanto detto denaro proveniva da attività corruttiva che ho confessato». Di cosa si tratti non è dato sapere. Di certo, è facile ipotizzare che ogni singola affermazione di Petrini, soprattutto se utile a correggere quanto affermato in precedenza, venga passata ai raggi X. Soprattutto alla luce di quanto accaduto negli interrogatori successivi del 25 e 29 febbraio e 17 aprile.

Quelle telefonate con la moglie e il nuovo Petrini

Poco prima di quei colloqui con i giudici, ci sono un paio di telefonate della moglie, Stefania Gambardella. Che – magari non immaginando di essere intercettata – gli intima «Allora tu mi devi ascoltare però, sennò non vengo più Marco, se non fai le cose che ti dico io, non vengo più ... non fare più le cose di testa tua perché sono tutte sbagliate, tutte deviate». E Marco – affermano i pm nell’avviso di garanzia con contestuale decreto di perquisizione spedito alla Gambardella – a quanto pare esegue.

In passo indietro del giudice 

Da quanto sopravvissuto agli omissis, pare che «riguardo al processo Vrenna» Petrini si preoccupi di «precisare e rettificare che in realtà, a parte la visita iniziale ricevuta dall'ex Procuratore dottor Tricoli, poi di tale vicenda non mi sono mai interessato, essendo il collegio composto da altri colleghi con i quali non ho avuto alcuna interlocuzione sul punto. Dunque nessuna somma di denaro ho mai ricevuto in relazione a tale vicenda». Ergo in precedenza aveva detto l’esatto opposto.

 

L'assoluzione (a pagamento) di Patitucci

La seconda vicenda riguarda invece altri due procedimenti, uno dei quali per omicidio, e l’incontro – gli ricorda il pm - «che lei ha presso il suo Ufficio della Corte di Appello di Catanzaro con l'avvocato Manna Marcello (attuale sindaco di Rende ndr), lei ne ha parlato di questo incontro, ne ha parlato nel corso di entrambi gli interrogatori». Petrini è visibilmente in difficoltà. Balbetta, risponde evasivamente, poi alla fine racconta che anche il suo collega, il giudice Cosentino avrebbe accettato denaro per addomesticare la sentenza in favore del killer Patitucci, poi assolto da quelle contestazioni. Gran parte di quel verbale, soprattutto –sembra di capire – per quel che riguarda i contenuti di un primo incontro con Manna è coperto da un omissis lungo più di 100 pagine. Ma qualcosa alla scure dei pm sfugge.

 

Tutto si può con un fratello di loggia

Lungo, delicato il processo contro Patitucci è durato mesi. «Era in questione la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale» – ammette Petrini, inchiodato da precedenti interrogatori- ed anche Cosentino era coinvolto in quella decisione. Allora è stato lui a farsi da tramite della “disponibilità” manifestata dall’avvocato Gullo, insieme a Manna difensore del killer. «Lui mi disse, sapendo lui che il relatore era Cosentino, dice: "Se è necessario un contributo ci può essere anche per Cosentino». E sarebbe stato proprio Petrini a informare Cosentino, anche se ci tiene a specificare di «non avere cognizione dell’effettiva dazione». E qui il procuratore Masini si impunta, magari capisce che sta succedendo qualcosa di strano ed insiste. Vuole sapere perché Petrini si sia sentito libero di andare da un collega per convincerlo a vendere una sentenza. E solo dopo molte insistenze riesce a farsi dire che «anche il collega Cosentino era iscritto alla stessa ... alla stessa loggia». Coperta evidentemente.

 

La “conversione” di Petrini

Problema, il 17 aprile Petrini smentisce categoricamente tutto. E per giustificare il rapido e radicale cambio di rotta usa parole quasi da pentito di mafia, di quelli che – improvvisamente – decidono di ribaltare quanto in precedenza raccontato. «Nel corso dei due ultimi interrogatori ero particolarmente provato dal punto di vista psicologico e morale» spiega e solo «in questo momento – aggiunge - credo di aver recuperato la serenità sufficiente ad affrontare questo atto istruttorio ed ho pertanto intenzione di rispondere positivamente al suo invito». Parole dette di fronte ad uno schermo. Per la prima volta Petrini non è di fronte ai pm. Le restrizioni da Covid sono ancora dure e l’interrogatorio si svolge in videoconferenza. Fra lui e i magistrati c’è distanza. E magari anche per questo può ritornare indietro non solo su quanto affermato il 25 e il 29 febbraio, ma anche su quanto in precedenza accennato – come si evince dalle domande dei magistrati – quindi sfumato e il 17 aprile radicalmente negato.

 

Indietro tutta

Interrogato dal pm Senatore, quel giorno l’ex giudice giura e spergiura che il collega Cosentino nulla sapeva, né di Patitucci, né di un «delicato» procedimento di misure di prevenzione, «Ioele+ terzi interessati». Al centro, c’era «un soggetto già condannato per bancarotta, nei confronti del quale era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione patrimoniale che si era conclusa con la confisca di alcun beni in primo grado». In appello, aggiustata a favore dell’imputato per 2500 euro cortesemente versati – dice Petrini, specificando quanto emerso nei precedenti interrogatori dall’avvocato Marcello Manna.

 

«Con Manna ci provai»

I pm hanno anche una data dell’incontro fra i due, il 30 maggio. E Petrini non smentisce che l’attuale sindaco di Rende lo abbia agganciato durante quel procedimento di misure di prevenzione «rappresentandomi che la questione era molto delicata». Tanto meno che «sarei stato disponibile ad accogliere l'appello dietro versamento di una somma di denaro» o che l’avvocato «si dichiarò disposto ad accontentarmi». Certo, nonostante l’insistenza dei pm non spiega come mai si sia sentito libero di proporre una cosa del genere ad un legale che, afferma Petrini citando la logica domanda dei magistrati, poteva benissimo «andare alla più vicina Stazione dei Carabinieri per denunziarmi». Si limita a dire «semplicemente "ci provai", sperando che le cose andassero bene». Ciò che Petrini sembra a tutti i costi voler smentire è che gli altri componenti del collegio, i giudici Cosentino e Commodaro, fossero al corrente di questo giochino.

 

Il "martire" Petrini

Immolato per la causa di chi? «Il collegio giudicante era composto, nella circostanza, dai colleghi Cosentino e Commodaro. Ero io il relatore della procedura. Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta» ci tiene a precisare. E aggiunge «escludo che il dott. Cosentino fosse parte dell'accordo corruttivo. Prendo atto di aver reso dichiarazioni contrarie il 25 febbraio 2020. Mi sento di escludere tale circostanza e comunque, ribadisco che egli nulla seppe della proposta che mi era stata rivolta dall'avvocato Manna e che non fu invitato in alcun modo a partecipare alla spartizione della somma che avevo ricevuto. Anche per il dottor Commodaro vale lo stesso discorso». Stessa storia per il processo d’appello a Patitucci, in cui «la decisione – sostiene - trovava il suo fondamento nello svolgimento dell'istruttoria dibattimentale». Eppure qualche mese prima – emerge tra le pieghe dell’interrogatorio - aveva riferito tutt’altra cosa e in modo dettagliato. Salvo poi iniziare a zoppicare nel confermarlo già dal 25 febbraio.

 

Ricusazione a pagamento

Un quadro torbido che si ripete, uguale a se stesso in relazione ad un altro episodio che riguarda il giudice Cosentino. Stando ai primi verbali, su gentile offerta (economica) dell’avvocato Staiano diretta a lui e al collega Saraco, Cosentino avrebbe accolto un’istanza di ricusazione quanto meno fantasiosa, salvo poi preoccuparsi quando quella pronuncia è diventata un caso tanto sui media, come negli uffici della Corte d’appello. Con tanto di ricorso – durissimo – del sostituto Di Maio, accolto in toto, in fretta e senza rinvio dalla Cassazione, nonché una convocazione formale di fronte al presidente Introcaso. Cosentino non si aspettava tanto clamore, eppure la decisione di accogliere l’istanza di ricusazione di un presidente di collegio «sulla base della pregressa conoscenza delle fonti collaborative» era così clamorosa che – racconta Petrini il 25 febbraio – lui stesso si era detto contrario «perché non stava in piedi sotto il profilo giuridico». Ma Cosentino, aveva ammesso in quell’occasione, aveva ricevuto un’offerta di danaro per una sentenza comoda da Staiano e con lui si era confidato perché consapevole «che ho avuto soldi in passato dall'avvocato».

 

Inversione a U

Passa qualche mese e il 17 aprile nell’ennesima versione di Petrini tutto cambia. «Escludo – afferma - che risponda a verità quanto da me dichiarato il 25 febbraio 2020, a proposito della partecipazione del dott. Cosentino all'accordo corruttivo riguardante il processo Patitucci ed a proposito della partecipazione dello stesso dott. Consentino e del dott. Saraco all'accordo corruttivo sotteso all'accoglimento dell'istanza di ricusazione del dott. Battaglia o del dott. Bravin». Insomma, una marcia indietro totale e convinta. Al pari delle accuse, a quanto filtra, in precedenza formulate. E adesso toccherà ai pm di Salerno capire dove fra le mille versioni di Petrini sta la verità. E sbrogliare la matassa.