Un aumento di pena, il riconoscimento dell'aggravante mafiosa e il sequestro della somma di 175mila euro. È questa la richiesta avanzata dal procuratore di Salerno, Giuseppe Borrelli, nel ricorso in appello contro la sentenza emessa nel maggio scorso dal gup con cui Marcello Manna e Marco Petrini sono stati condannati a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di corruzione in atti giudiziari.

La genesi

Com'è noto, l'ex sindaco di Rende e l'ex presidente di sezione della Corte d'Appello di Catanzaro sono rimasti coinvolti in una inchiesta collaterale all'operazione Genesi che, nel 2020, aveva prodotto un vero e proprio terremoto negli uffici giudiziari del capoluogo ipotizzando diversi episodi di corruzione.

La corruzione

Tra questi, appunto, c'è anche la presunta corruzione che si sarebbe consumata negli uffici della Corte d’Appello di Catanzaro. Secondo l'ipotesi accusatoria, Marcello Manna (assistito dall'avvocato Nicola Carratelli) avrebbe corrotto Marco Petrini (difeso dall'avvocato Francesco Calderaro) per ottenere una sentenza favorevole al suo assistito, Francesco Patitucci che in primo grado era stato condannato a 30 anni di carcere per il delitto di Luca Bruni ma poi assolto dalla Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro, in cambio della somma di denaro di 5mila euro in contanti.

Il cortometraggio

Due anni e otto mesi di reclusione non sono, tuttavia, sufficienti per la Procura di Salerno che ha impugnato la sentenza nella parte in cui esclude il presunto intervento di Manna presso Giuseppe Citrigno, all'epoca dei fatti presidente della Fondazione Calabria Film Commission, per favorire l'elargizione da parte dell'ente di un contributo economico finalizzato alla realizzazione del cortometraggio di Mario Vitale, parente di Petrini.

Il sequestro di 175mila euro

Secondo la ricostruzione della Procura, «appare pacifico che dopo aver ricevuto la somma di denaro che costituiva il prezzo della assoluzione di Patitucci, Petrini chiese a Manna l'ulteriore vantaggio di una intercessione con Giuseppe Citrigno al fine di far ottenere un contributo al nipote». Ed è in tale contesto che si inserisce la richiesta di sequestro della somma di 175mila euro, corrispondente al finanziamento effettivamente ottenuto da Mario Vitale.

Intercettazioni e tabulati

Dall'analisi di alcune conversazioni, emergerebbe, infatti, come «Vitale, beneficiario dell'intervento del Manna, fosse precisamente consapevole della genesi della sua ammissione al contributo; dall'altro che le dichiarazioni di Manna (intercettate ndr) di non aver avuto contatti con Citrigno da anni siano state completamente smentite dall'analisi dei suoi tabulati telefonici».

L'aggravante mafiosa

«Viziato sotto il profilo della carenza di motivazione e della manifesta illogicità», appare poi la sentenza per il procuratore di Salerno nella parte in cui esclude l'aggravante della agevolazione mafiosa. «Un primo profilo di illogicità è insito - si legge negli atti - nell'attribuire dignità dimostrativa al mancato esercizio dell'azione penale (anche) nei confronti di Patitucci, sulla base dell'equazione secondo la quale il fatto che egli non abbia concorso nella corruzione fornirebbe la prova che Manna non abbia inteso favorirlo unitamente alla associazione di appartenenza».

La sentenza non la esclude

«Dalla lettura della decisione, peraltro, pare (anche se non è esplicitato) - argomenta il procuratore di Salerno - che il giudice correttamente non escluda che la assoluzione e la liberazione di Patitucci, frutto della corruzione posta in essere da Manna, fosse oggettivamente idonea a rafforzare la cosca di 'ndrangheta Lanzino-Patitucci». Ulteriori profili di illogicità, secondo la Procura, emergerebbe nella parte in cui si svaluta «la portata probatoria dell'accertato sostegno offerto dal gruppo Patitucci a Manna alle elezioni del 2014».

Le elezioni comunali

«L'episodio è stato infatti ricordato - si legge nell'atto - unicamente al fine di dimostrare come il sostegno elettorale che il sodalizio avrebbe potuto arrecare a Manna alle "successive" elezioni, presupponesse la sua piena operatività, ed indicasse precisamente l'interesse del legale a potersi avvalere di un (eventuale) sostegno alle elezioni svoltesi in coincidenza temporale con l'episodio corruttivo. Con tali considerazioni, evidentemente, la decisione impugnata omette di confrontarsi, a tal fine tacendo completamente un ulteriore elemento che pure si desume dagli atti e che dimostra la stabilità dei rapporti tra la cosca 'ndranghetistica e l'imputato».

Ti tagliamu a capu

Il riferimento è all'aggressione con metodo mafioso di un giornalista avvenuta nel settembre del 2020 «a seguito di una campagna di stampa condotta attraverso un blog nel corso del quale erano stati pubblicati fotogrammi che raffiguravano Manna nell'atto di consegnare al giudice Petrini una busta poi risultata contenere banconote». Secondo la ricostruzione, in quella occasione il giornalista fu minacciato con le parole: «Caccia subito i fotografie di l'avucatu Manna e un scriva chiù nenti supra a Patitucci, a prossima vota ti tagliamu a capu». Successivamente, per quell'episodio due persone sono state arrestate e poi condannate.