Il giornalista al festival del libri sulle mafie in corso a Lamezia Terme per presentare Il libro nero della Lega
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Giovanni Tizian (Espresso) è intervenuto a Trame.9 Festival dei libri sulle mafie in corso a Lamezia con Stefano Vergine (giornalista), entrambi autori de Il libro nero della Lega: «È un’inchiesta giornalistica sul lato oscuro della lega cioè quello che i cittadini non troveranno mai in un talk show o sui media mainstream. È il lato B di un Partito - spiega Tizian - che è diventato partito di governo in pochissimo tempo. È diviso in tre parti per argomento: la prima parte è su che fine hanno fatto i famosi 49 milioni della truffa di Bossi e Belsito che la Lega deve restituire agli italiani; la seconda parte è sugli impresentabili al sud e sulle relazioni pericolose con i clan e in particolare con i clan della ‘ndrangheta; la terza parte è la lega nei rapporti internazionali, soprattutto con il Vaticano, gli Stati Uniti e una trattativa che abbiamo documentato per farsi finanziare con soldi russi. La scoperta più eclatante del lavoro è la trattativa a Mosca del 18 ottobre 2018 in cui c’era uno degli uomini più vicini a Matteo Salvini che trattava questo finanziamento per il partito. Questa è una notizia che ha fatto il giro del mondo, anche se in Italia non ha avuto la rilevanza stranamente che ha avuto in altri paesi europei. Questo la dice lunga sullo stato e l’informazione in questo paese».
Ma c’è un modo per far crollare il castello di sabbia costruito da Morisi e Salvini? «Quello che raccontiamo - prosegue Tizian . in effetti smentisce moltissimo della retorica sovranista appunto propagandata dall’uomo, dal megafono dei social, cioè Luca Morisi che ha studiato la strategia di comunicazione di Matteo Salvini. Quello che riveliamo è che comunque tutta questa macchina della propaganda usata da Salvini ha un costo elevato. È un partito, come dichiara Salvini, che è al verde ed è giusto chiedersi come finanzia tutto questo. Noi raccontiamo come, raccontiamo anche che in realtà molti soldi di quelli che dovevano essere sequestrati dalla magistratura non sono più stati trovati sui conti correnti, proprio perché usati spesso per finanziare la campagna social e la campagna mediatica di Matteo Salvini. Inoltre quello che emerge da questa inchiesta giornalistica è che tutta l’aggressività propagandata attraverso i social media è un’attività che poco ha a che fare con l’attività istituzionale di un ministro. Qui c’è un’altra anomalia: uno staff assunto dal Viminale, pagato con i soldi degli italiani, che continua a fare propaganda personale per un leader politico e non per il paese, cioè attività istituzionale».