Nelle motivazioni del tribunale i particolari di una delle vicende contenute nell'inchiesta scattata nel dicembre 2019 contro gli Abbruzzese "Banana" e Roberto Porcaro
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Il processo "Testa di Serpente" è stato un antipasto giudiziario di quello che sarebbe accaduto a distanza di quasi due anni, quando il 1 settembre 2022 in provincia di Cosenza scattò la maxi operazione antimafia denominata “Reset”. L’indagine del 2019 aveva fatto emergere i rapporti tra l'ex "reggente" del clan "Lanzino-Patitucci" di Cosenza, Roberto Porcaro, e gli esponenti della famiglia Abbruzzese "Banana" di via Popilia, ritenuti dalla Dda di Catanzaro come le figure chiave del processo in corso di svolgimento tra Catanzaro e Lamezia Terme.
Tra i reati per i quali Luigi, Marco e Nicola Abbruzzese sono stati condannati insieme a Francesco Casella, Andrea Greco e Antonio Marotta, alias "Capiceddra", c'è il terreno conteso in via Romualdo Montagna. La vicenda, com'è noto, è nata da una occupazione "sine titulo" di un terreno di proprietà di un avvocato cosentino, poi gestito dal genero, spesso citato nel processo. Il terreno però era stato occupato da anni dalla persona offesa costituita parte civile nel processo "Testa di Serpente", la quale fece valere l'usucapione, stante il prolungato possesso. La Dda di Catanzaro, nella persona del pubblico ministero Corrado Cubellotti, aveva qualificato il reato in estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per il collegio giudicante dunque non si è trattato di un esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Per il tribunale di Cosenza quindi «l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato che gli imputati», con varie condotte, «hanno agito per il perseguimento di un proprio interesse, e cioè, il compenso in denaro promesso loro», dal genero del legale «per l'opera di mediazione avente ad oggetto la liberazione del terreno». I proprietari del terreno, scrivono i giudici cosentini, «soggetti astrattamente legittimati a far valere in giudizio la pretesa a riottenere il terreno, si sono avvalsi dell'opera di mediazione degli odierni imputati che hanno agito in quanto titolari di un interesse concorrente consistente nel percepire un compenso per l'opera prestata».
L'agevolazione mafiosa
«La circostanza della finalità agevolativa mafiosa, senza dubbio sussistente per tutti gli imputati, orienta l'azione al perseguimento di uno specifico interesse, quello dell'associazione mafiosa di riferimento». Sempre dall'istruttoria dibattimentale è emerso che «Luigi Abbruzzese, in qualità di referente del gruppo degli Abbruzzese "Banana" ha incontrato in più occasioni la parte offesa e ha formalizzato la controfferta di 45mila euro. Inoltre si è recato agli incontri con la persona offesa insieme a Roberto Porcaro (condannato in abbreviato, ndr), all'epoca reggente del clan Lanzino-Patitucci. Marco Abbruzzese ha partecipato almeno a due incontri» con la vittima «e ha preso parte al pestaggio del 21 marzo 2019».
Gli altri imputati
Secondo i giudici, inoltre, «Nicola Abbruzzese ha partecipato a tutti gli episodi più significativi dell'escalation minatoria di cui» la parte civile «è stata vittima ed anche all'episodio del pestaggio del 21 marzo 2019». E ancora. «Allo stesso modo anche Antonio Marotta, il quale ha minacciato la persona offesa il 16 marzo 2019, ha partecipato all'incontro del 17 marzo 2019 presso lo "zampillo" in via degli Stadi», partecipando, secondo il tribunale collegiale di Cosenza, al pestaggio sopra menzionato. Colpevole per questo reato anche Andrea Greco, il quale, secondo quanto raccontato dalla vittima, avrebbe sferrato tre calci all'uomo. Francesco Casella, invece, ha avuto nella vicenda il ruolo di mediatore, invitando la persona offesa «a lasciare il terreno, almeno in due occasioni». Un ruolo, quello di Casella, ritenuto comunque marginale alla realizzazione della vicenda. In particolare, il tribunale «ritiene possibile riconoscere le circostanze attenuanti generiche». Tutte le difese hanno presentato ricorso.