«L’apocalisse, non ci sono altre parole per definire quello che è successo oggi. L’apocalisse». Ha il volto tirato di chi non si ferma da ore, la caposala che, staccata dal lunghissimo turno in ospedale, si è voluta fermare davanti al palazzetto della città per un momento di riflessione in memoria delle tante vittime dell’ennesima strage di migranti nel Mediterraneo.

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In ospedale i sopravvissuti al naufragio hanno iniziato ad arrivare dal mattino: casi di ipotermia, contusioni, persone che hanno bevuto troppa acqua di mare e altre ancora sotto shock dopo aver visto morire i loro figli, i loro fratelli, i loro amici.

«I medici del turno di notte non hanno nemmeno staccato. Hanno aspettato i colleghi del turno successivo e hanno continuato a lavorare come era doveroso, ma tanti medici e paramedici dell’ospedale sono venuti in pronto soccorso a dare una mano, c’è stata una grande catena di solidarietà».

Le bare dei migranti morti nel naufragio di ieri a Crotone

Sono tante le storie drammatiche raccolte dai sanitari e dagli assistenti sociali. «Un ragazzo di 26 anni ci ha raccontato di essere stato sulla barca con il fratellino di sei anni – dice una delle psicologhe intervenute in ospedale a supporto dei superstiti – e di essersi buttato in mare con lui quando le cose hanno iniziato a precipitare. Sono stati in acqua diverso tempo, lui lo teneva stretto a sé, poi le sue mani hanno perso la presa. Non riusciva a smettere di piangere, di disperarsi. Aveva fatto tutto quello che aveva potuto per tenerlo in salvo, purtroppo senza riuscirci».

C’erano tante famiglie su quella barca maledetta, tante donne, tanti bambini, come succede quasi sempre sulla rotta che collega le coste della Calabria a quelle della Turchia. Molte di quelle famiglie sono rimaste spezzate in quello che doveva essere il viaggio della speranza. «Una giovane donna si era messa in viaggio con i suoi due figli – racconta un operatore sanitario – ma quando sono finiti in mare non è riuscita più a ritrovarli. Quando è stata portata in ospedale era come impietrita per quanto era successo. Continuava a chiamare per nome i suoi figli, ma nessuno dei due era in pronto soccorso. Poi dopo qualche ora, grazie alle ricerche che erano state messe in campo, il più piccolo dei due, di quattro anni, è stato ritrovato. Per mancanza di posti nel pronto soccorso, era stato trasferito nel reparto covid». Per il più grande dei fratelli non c’è stato nulla da fare. Il suo corpicino è stato recuperato dai soccorritori nella tarda mattinata.  

In mezzo a tanta morte però, tra le corsie del derelitto ospedale cittadino, spuntano anche spiragli di luce: vengono dal Pakistan, sono padre e figlio, entrambi per fortuna sono riusciti a scampare alle onde di scirocco. In pronto soccorso però viene trasportato solo il figlio. Il padre, che non ha subito traumi così profondi, viene trasferito direttamente al Cara di Sant’Anna. Nessuno dei due sa che fine abbia fatto l’altro. Il ragazzo, visibilmente sotto shock, continua a chiedere del genitore ai medici attraverso i mediatori culturali che fanno da interpreti: «Diceva “dobbiamo andare in Svezia, dobbiamo andare in Svezia, siamo partiti per andare in Svezia” quasi temendo che il padre potesse avere continuato il viaggio senza di lui. Per fortuna dopo qualche ora siamo riusciti a ritrovare suo padre e il ragazzo si è subito tranquillizzato». Una storia a lieto fine. Una delle pochissime di questa domenica di sangue.