La responsabile del servizio alcologia: «Nei locali del centro la carta d’identità vale come una tessera punti. E poi i giovanissimi seguono l’esempio dei genitori: senza un bicchiere in mano non si divertono»
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Quando il venerdì sera al termine di una pesante giornata di lavoro Maria Francesca Amendola, responsabile del servizio alcologia dell’Asp di Cosenza, si chiude dietro le spalle la porta dell’ambulatorio al civico sei di via delle Medaglie d’Oro e s’incammina verso casa, in altri angoli della città, finito l’ultimo giro di lavastoviglie, minuscoli bicchieri di vetro risplendono sulle mensole dei bar.
Li chiamano shottini, come se il nomignolo servisse a renderli meno offensivi. Traboccano di superalcolici: svuotarseli in gola è più veloce di un battito di ciglia. In genere, non ci si ferma al primo. Neppure al secondo. E neanche al terzo. Il fenomeno è conosciuto come binge drinking: riuscire a bere tanto e in poco tempo. Serve qualche minuto prima che l’alcol faccia effetto. Sembra tutto normale, nel frattempo si chiacchiera amabilmente. Si ride. Ma la botta prima o poi arriva. E quando arriva, il pentimento risulta vano. Il coma etilico non così improbabile.
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«Non si tratta di sorseggiare un bicchiere di vino in buona compagnia. I giovani cercano lo sballo finalizzato a se stesso, a tredici anni l’alcol smette di essere un tabù».
La distanza che passa tra l’esame di terza media e il vomito che sale su per lo stomaco rasenta lo zero e la legge che vieta la vendita di bevande alcoliche ai minorenni diventa una di quelle barzellette che non fanno ridere più nessuno. La dottoressa Maria Francesca Amendola ha contezza di quello che dice. «A Cosenza ci sono locali, e lo stesso discorso vale per Rende, dove la carta d’identità ha lo stesso valore di una tessera punti. E se va male, c’è sempre l’amico maggiorenne di turno pronto a immolarsi davanti al bancone. Alla cassa di un supermercato il gioco è ancora più facile».
Dopo una notte trascorsa a farsi male con i superalcolici, i leoni diventano cani bastonati che faticano persino a riconoscere la via di casa. Varcato l’uscio, c’è qualcuno disposto a guardarli dritto negli occhi e a riconoscere il problema? «Se ho 16 anni e un genitore che beve normalmente davanti a me perché fa parte della convivialità – si chiede la dottoressa Amendola – perché non dovrei farlo io?». Continua a leggere su Cosenza Channel.